Aneddoti sulla crisi di nervi che percorre i grillini e mette in ansia il Pd. Lunedì scorso, sotto la sede de La7, reduce da una trasmissione tv, Alessandro Di Battista, il comandante «Dibba» per gli irriducibili 5stelle, sfoga sporgendosi da un taxi la sua voglia di tornare alle origini. «Io vado avanti - giura -. Non mi fermo, non mi frega niente. Io ho fatto politica per degli ideali, quegli altri (il vertice attuale del movimento, ndr) non so più perché la fanno...». E ancora: «Tu - dice, riferendosi al cronista - hai fatto l'esegesi di Craxi, io sono agli antipodi da Craxi, ma almeno lui pensava al Potere ma aveva una sua linea, un suo modo di vedere il mondo, una sua coerenza. Questi qui (cioè i vecchi compagni di ventura, ndr) non so più a cosa credono...».
Sfogo d'inizio estate del «Dibba» che vede più coerenza in Craxi che nel presente di molti suoi compagni. Probabilmente è la prima calura estiva che avvolge la Capitale a suscitare dubbi, ripensamenti e riserve in quell'area che sulla carta dovrebbe dare vita alla coalizione alternativa al centrodestra ma che si dibatte in una sorta di crisi esistenziale. Nel cortile di Montecitorio, Nicola Pellicani, deputato del Pd e figlio d'arte (il padre Gianni fu uno degli esponenti più in vista della corrente migliorista del Pci), parla con un certo disappunto della metamorfosi di Enrico Letta. «Il Pd - spiega un personaggio che ha mangiato pane e politica fin da bambino - rischia di implodere. Stiamo mettendo in campo tematiche per attirare i mondi grillini, ma rischiamo di isolarci da tutti gli altri. Anche perché non siamo credibili quando vogliamo interpretare quei mondi: siamo stati fino a ieri l'asse del sistema di governo e ora che ci mettiamo a fare, la parodia del grillismo? Dovremmo sincronizzarci con il presente, il futuro e, invece, guardiamo al passato. Almeno Renzi lo faceva. Ecco perché la parte più moderata del partito è in sofferenza. Quelli di Base riformista, io gli parlo, fanno tutti i giorni la macumba a Letta».
Per capirci qualcosa e comprendere le ragioni della «metamorfosi» filo-grillina di un ex figlio della Dc come Enrico Letta, bisogna mettere in connessione questi due sfoghi. La posizione del «Dibba» dimostra che il pianeta grillino ormai è esploso, che da quella realtà nasceranno diversi soggetti, un'anima governativa, un'anima antagonista, una che punta al ritorno alle origini sulla scia di Di Battista e Casaleggio. Per cui il tentativo di Giuseppe Conte di diventarne il riferimento e il leader rischia di fallire ancora prima di nascere. Questo ha mandato all'aria i piani di Letta: dato che gli interlocutori nel movimento sono troppi e spesso incompatibili, il segretario del Pd punta ora ad attirarne l'elettorato rappresentandone le istanze. Spiega Matteo Orfini che condivide la «svolta»: «Prima dovevamo andare appresso sempre e comunque a Conte. Ora, vivaddio, ci sono proposte del Pd per aprire un canale con i settori di riferimento del grillismo nella società».
Solo che così il segretario rischia di snaturare il partito, di scoprirlo sul versante moderato al punto, il che è tutto dire, di entrare in collisione addirittura con Mario Draghi. Una riflessione che stanno facendo in molti, sia pure sottovoce, nel Pd. «La verità - la battuta sarcastica di un piddino che non ha peli sulla lingua come Luciano Pizzetti - è che vogliamo fare Bernie Sanders ma ci manca chi fa Joe Biden».
Appunto, inseguendo il grillismo si perde il legame con la realtà. «Letta - osserva uno dei protagonisti della politica italiana - è uno che si è fatto l'operazione agli occhi e poi si tiene una diottria per mettere gli occhiali. Questo dice tutto: o è del tutto miope, o ci vede troppo e questa politica di apertura verso il grillismo gli serve solo per arrivare lui stesso al Quirinale». E già, certe uscite del segretario del Pd sono talmente intempestive o singolari (ius soli, voto ai sedicenni, aumento della tassa di successione) che per vederne la ratio devi far galoppare la fantasia. «L'idea di inseguire l'elettorato grillino - riflette Carlo Calenda - è un errore, perché quello residuale è militarizzato, non lo smuovi. Con queste uscite ti comporti come i bambini che fanno la cantilena il castello di sabbia è mio o la palla è mia. Insomma fanno le bizze, tanto quello che decide, che porta il pane a casa, è il padre, cioè Draghi».
Già, una danza di proposte che serve solo a far parlare di sé, a riprendere un filo di comunicazione con un elettorato perso tanto tempo fa. Tant'è che i più entusiasti del «grillismo» lettiano sono quelli della sinistra più pura, sono gli uomini di Pierluigi Bersani. «Letta ha capito - spiega Federico Fornaro, capo dei deputati di Liberi e uguali - che deve rappresentare anche le istanze dell'elettorato grillino. Ciò, però, farà venire i nodi al pettine anche nel governo. Ci stiamo scontrando già sul tema del lavoro con la destra, ma soprattutto ci scontreremo sulla giustizia. E neppure Draghi potrà far finta di niente, perché c'è una realtà di Palazzo Chigi ma anche una realtà parlamentare che non possono essere per troppo tempo scisse».
Insomma, per attirare l'elettorato grillino Letta non può esimersi dal cimentarsi in battaglie sul palcoscenico del governo. E il giustizialismo, inutile nasconderselo, è una delle bandiere del movimento. Per cui la metamorfosi di Letta ne provocherà di belle, pardon di brutte, su quel tema, se queste sono le premesse.
«Io sono nato democristiano - è la spiegazione psico-politica che ne dà Roberto Occhiuto, capogruppo dei deputati di Forza Italia e so che i democristiani di sinistra come Letta soffrono da sempre di una sindrome genetica: debbono apparire più di sinistra dei comunisti. La novità è che ora Letta vuole dimostrare di essere più grillino dei grillini».
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