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Uno spauracchio in mano alle procure

Si può polemizzare con tutto, tranne che con i numeri.

Uno spauracchio in mano alle procure

Si può polemizzare con tutto, tranne che con i numeri. E i numeri sui processi per abuso d'ufficio, diffusi ieri dal ministero della Giustizia, dimostrano una realtà indiscutibile: il reato di abuso non è solo una tagliola micidiale messa sul cammino di ogni amministratore pubblico; non è solo un reato-omnibus, il passepartout con cui - in assenza di qualunque altro indizio di colpevolezza - i pubblici ministeri possono iniziare a scavare sul conto di sindaci e assessori, sperando di imbattersi in qualcosa di più rilevante; è anche, e soprattutto, una formidabile macchina che ingolfa i tribunali, un macigno micidiale sulla strada per l'efficienza della giustizia.

Come finiscono le inchieste per abuso d'ufficio? Diciotto condanne su 455 processi. Trecentosettanta rinvii a giudizio contro 4.613 archiviazioni. Non esiste un solo reato in tutto il codice penale che abbia numeri neanche lontanamente paragonabili di insuccessi dell'accusa. Non è un caso. I numeri dimostrano che l'abuso è in realtà un reato-non-reato, privo di quei requisiti di chiarezza che in ogni Paese civile servono per dettare al cittadino le regole da seguire nel suo honeste vivere. Eppure migliaia di amministratori pubblici, dal piccolo travet al sindaco di una metropoli, al dirigente apicale di un ministero, sono costretti quotidianamente - ad ogni firma, ad ogni delibera - a chiedersi se sarà l'atto che lo farà finire alla sbarra.

Non è un caso, leggendo attentamente le cifre, che a fare archiviare la grande parte delle accuse sia stata la legge che nel 2020 (governo Conte 2, ministro della Giustizia Bonafede) ha ristretto sensibilmente l'area di applicazione del reato. Togliendo di mezzo la violazione di regolamenti secondari e restringendo l'area dell'abuso alle violazioni di legge, l'entrata in vigore della norma ha fatto dissolvere migliaia di inchieste. È la dimostrazione che a fare scattare l'incriminazione dei pubblici amministratori era nella stragrande parte dei casi la difformità dei loro atti da qualche pandetta evanescente, e non da leggi degne di questo nome.

Eppure, nonostante la drastica riduzione dell'area di applicazione, il reato di abuso ha continuato a essere contestato a man bassa dalle Procure, e anche l'anno scorso per ogni vecchio fascicolo finito in niente se ne è aperto un altro, continuando a intasare le aule. È la prova che nessuna riforma - e tantomeno i due avverbi in più che il ministro Nordio vorrebbe aggiungere all'articolo per depotenziarlo - impedirà al fatidico articolo 323 di essere usato come spauracchio in mano alle Procure. Alcuni magistrati hanno già fatto sapere che, se verrà abolito il reato di abuso, contesteranno reati più gravi.

Ma - tono ricattatorio a parte - forse è arrivato il tempo di andare a vedere il bluff.

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