Cronache

La "bomba" delle specie aliene: ecco che cosa può succedere

A lanciare l'allarme è il progetto europeo "Life Asap". Una delle conseguenze delle specie aliene invasive è il Coronavirus

La "bomba" delle specie aliene: ecco che cosa può succedere

Nuove specie aliene invasive mettono a serio rischio gli ecosistemi terrestri e marini in Italia, ma non solo, in tutta Europa. L'allarme è stato lanciato dai ricercatori dell'Ispra, l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, a conclusione del progetto europeo "LifeAsap". Sono 952 le nuove specie vegetali e animali esaminate dagli esperti negli ultimi quattro anni per valutarne le possibilità di ingresso nel nostro Paese e i potenziali danni per il patrimonio naturale, per la salute dei cittadini e per l'economia. Parliamo di piante e animali che minacciano la biodiversità. Sono ottantasette, poi, le specie più pericolose che si aggiungerebbero alle oltre 3mila già presenti.


"I dati che abbiamo raccolto sulle specie aliene invasive sono preoccupanti perché è un fenomeno in forte crescita in tutto il mondo, ma in Italia cresce con tassi più rapidi" ha detto a ilGiornale.it Piero Genovesi, ricercatore dell'Ispra e coordinatore del progetto. I numeri parlano chiaro, in Italia c'è stata una diffusione di piante e animali esotici (quindi alieni) del 95 per cento negli ultimi trent'anni e un aumento in Europa del 76 per cento. Come arrivano le specie aliene è molto semplice: per quanto riguarda le piante, sono di importazione attraverso il settore vivaistico, gli animali arrivano per la commercializzazione (molte volte illegale) di "animali da affezione", mentre i pesci arrivano seguendo le acque di zavorra delle navi dal canale di Suez. Ad agevolare l'inserimento delle specie aliene invasive concorrono, poi, i mari sempre più caldi ed i cambiamenti climatici. Il tema è stato molto dibattuto negli ultimi anni, ma è ancora poco conosciuto tra i più. Eppure una conseguenza di tutto questo lo stiamo ancora vivendo: la diffusione del Coronavirus.


"Abbiamo visto con il Covid quanto sono strettamente legati il commercio illegale di animali, il loro sfruttamento per fini alimentari o commerciali e la nostra stessa salute. Sono tanti anni che i dati scientifici dimostrano come tutelare la biodiversità serva non solo per avere ecosistemi sani, ma anche per assicurare uno sviluppo più duraturo delle società umane" ha detto Genovesi, continuando "per quanto riguarda i pipistrelli, ad esempio, il messaggio semplificato che questo animale abbia trasmesso il virus all'uomo, ha portato a combattere e distruggere alcune colonie di pipistrelli, ma è sbagliato. Il virus, che nel pipistrello non fa alcun danno, è arrivato all'uomo con un salto di specie probabilmente in un 'wet market' , un mercato in cui si macellano animali selvatici di tutte le specie senza alcuna attenzione sanitaria. I pipistrelli che ospitavano questo virus erano distanti mille chilometri da Wuhan, ma sono stati cacciati illegalmente, trasportati e venduti per l'alimentazione in un mercato senza garanzie sanitarie.". Secondo il ricercatore questa pandemia insegna che "occorre maggiore tutela per la salute in generale, con ecosistemi più sani e una maggiore attenzione allo sfruttamento delle risorse e al traffico di specie animali". Proteggere la natura per mettere al sicuro la salute umana, è questa la lezione del Covid e si ricollega allo studio del progetto "LifeAsap". L'inserimento nel territorio italiano delle specie aliene invasive mette in ginocchio anche l'economia, "su scala europea si è stimato che le perdite economiche a causa dei parassiti nell'agricoltura superino i 30 miliardi di euro all'anno, parliamo ad esempio della cimice asiatica o della xylella. Si tratta di perdite economiche altissime e mai come ora è importante investire sulla prevenzione e sulla comunicazione" ha detto, ancora, Genovesi.


L'Italia ha una maggiore incidenza di specie aliene invasive per l'affaccio sul mare e i collegamenti con il canale di Suez. Gli animali e le piante esotiche arrivano con la navigazione oltre che con l’acquacoltura, l’agricoltura, le attività forestali e, come detto, il commercio di piante ornamentali e animali da compagnia. O, ancora, arrivano per esempio, con i viaggiatori attraverso abiti, attrezzature, bagagli o souvenir contaminati.



Tra le 87 specie più insidiose indicate dagli esperti, c'è la 'Crassula helmsii', una pianta acquatica originaria dell’Oceania, di grande interesse per i settori florovivaistico e acquariologico. Una specie molto invasiva, capace di proliferare anche in ambiente terrestre formando mantelli vegetali in grado di coprire interamente qualsiasi superficie che soffocano le altre piante. Causa anche ingenti impatti economici - come si legge in una nota stampa dell'Ispra - perché impedisce la navigazione dei corsi d’acqua, la pesca e l’accesso alle sponde. C’è poi il 'Callosciurus prevostii', o scoiattolo di Prevost, uno scoiattolo originario del sudest asiatico, molto apprezzato e venduto come animale da compagnia per via dei colori vivaci del suo pelo, ma è molto pericoloso nel caso in cui dovesse fuggire o essere rilasciato. Tra gli insetti più pericolosi che potrebbero diffondersi nel territorio italiano c'è poi la 'solenopsis invicta', o 'formica del fuoco'. Una specie originaria del Brasile, introdotta come contaminante del suolo e dei prodotti vegetali, altamente invasiva per la formazione di colonie di dimensioni enormi. La formica del fuoco, oltre a creare impatti notevoli sulla biodiversità nativa ( al mondo ci sono 12mila tipi di formiche) e le produzioni agricole, è un rischio per la salute umana a causa della sua puntura dolorosa. A mettere a rischio anche il Mediterraneo il possibile arrivo dell’ 'Austrominius modestus', un piccolo crostaceo proveniente dall’Oceania introdotto in molte parti del mondo in quanto in grado di incrostare le chiglie delle imbarcazioni.


"Quello che abbiamo fatto nei quattro anni di progetto è formare i veterinari e informare i cittadini" ha specificato Paolo Genovesi al termine di "Life Asap", un progetto che è costato oltre 3 milioni di euro, cofinanziato dalla Commissione europea e dal ministero dell'Ambiente e che ha visto numerosi partner che hanno messo risorse impegno e personale (parliamo di Legambiente, Federparchi, Regione Lazio, Università di Cagliari, Nemo S.r.l, Tic Media Art; i parchi nazionali dell’Arcipelago Toscano, dell’Aspromonte, del Gran Paradiso e dell’Appennino Lucano, Val D’Agri e Lagonegrese).

"Era un progetto di comunicazione quindi abbiamo innanzitutto lavorato sull'informazione del pubblico in modo aumentare la consapevolezza degli italiani sul problema" ha concluso Genovesi.

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