Genova Notti insonni attaccato alle cuffie nella speranza di ascoltare la telefonata che può dar la svolta all’indagine. attento a ogni parola, sillaba, accento. Ore tra sbadigli, occhi che si chiudono, sacchetti di patatine da sgranocchiare e caffè superzuccherati per stare svegli.
Dura la vita dell’intercettatore notturno. Dura, anzi pesante a giudicare dai chili messi su e dallo stress accumulato nastro dopo l’altro dal carabiniere. Una vita che non può continuare così, e che pertanto, per i giudici, vale il diritto alla pensione immediata. A 52 anni. Con tanto di ritocchino sull’assegno.
La sentenza del Tar di Genova è di quelle destinate a cambiare il modo di assegnare gli incarichi a poliziotti e carabinieri. A sollevare il problema è stato proprio un militare dell’Arma. Giovane considerando gli attuali parametri, 52 anni appena compiuti, e teoricamente tanti ordini ancora da eseguire per rendere servizio allo Stato. Eppure anche talmente stressato da non poter andare avanti. Tutto per colpa degli incarichi ricevuti dopo un grave incidente stradale avvenuto qualche anno fa.
Uscito dal coma solo dopo 20 giorni, M.R. aveva lentamente ripreso una vita quasi normale. Rientrato in servizio, era stato subito messo a lavorare alle telescriventi. Tutto bene, fino a quando un superiore non aveva deciso di completare la sua «riabilitazione » chiamandolo a fare il capo pattuglia nei servizi di ronda, con tanto di rischio di inseguimenti e corpo a corpo con i delinquenti. Un compito faticoso, anche per un costante aumento di peso e per condizioni fisiche non più ottimali. Così il carabiniere era passato al servizio intercettazioni, ma senza esclusione dei turni di notte. Inutile sperare che magari qualche telefonata piccante potesse alleviare il peso di quel servizio psicologicamente massacrante. Il militare si è trovato così schiacciato da quello che clinicamente è definito «disturbo dell’adattamento», che tradotto significa depressione, stress e tutta una serie di reazioni in grado di rovinare una persona. Tanto che persino quella che prima era la classica «pancetta» da ultraquarantenne era diventata obesità.
Tre anni fa il carabiniere aveva così deciso di chiedere all’Arma un equo indennizzo per i problemi dovuti a cause di servizio. Niente da fare, la risposta era stata tassativamente negativa.
«Usi obbedir tacendo», è il motto del corpo. E così a M.R. era stato ordinato di andare avanti. A quel punto è intervenuto l’avvocato Andrea Bava, che ha preparato il ricorso al Tar contro la decisione della Commissione Previdenza dell’Arma. La battaglia a colpi di consulenze mediche è andata avanti per due anni e alla fine i giudici amministrativi si sono affidati alla perizia di specialisti dell’Università di Genova e dell’ospedale San Martino, che hanno dato ragione al carabiniere. «C’è un aspetto molto importante e innovativo della sentenza - spiega l’avvocato Bava - . Il Tar ha accolto il principio che per concedere l’indennizzo non è necessario che la malattia sia dovuta esclusivamente al tipo di servizio prestato. Si parla infatti di concausa. Il fatto che l’incarico aggravi lo stress è già sufficiente». Ed è per questo che il carabiniere è stato dichiarato non idoneo a continuare il proprio lavoro.
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