Gli stalker di condominio Quanto fa male la convivenza

Aumentano i conflitti e le denunce penali Soprattutto nei palazzi multietnici

Gli stalker di condominio Quanto fa male la convivenza

La tv a tutto volume nel cuore della notte, il cane che abbaia dopo le dieci di sera, l’immondizia lasciata in mezzo al cortile. È un attimo che le beghe tra vicini di casa oggi degenerino e si trasformino in denunce per stalking condominiale. E non basta più la mediazione dell’amministratore, né l’intervento del giudice di pace. La lite comincia con un battibecco, si trasforma in una serie infinita di dispetti e minacce, fino a diventare una guerra legale senza esclusione di colpi, compresa la denuncia per atti persecutori che sposta il dibattito dal terreno civile a quello penale. A individuare il reato di stalking condominiale è l’articolo 612 bis del Codice penale, che prevede la reclusione da sei mesi a quattro anni (per le semplici «molestie», la pena è l’arresto fino a sei mesi o l’ammenda fino a 516 euro). Tuttavia la confusione sul concetto di stalking tra vicini è parecchia e, così come accade per lo stalking di coppia, spesso se ne abusa. O almeno, ci si prova. Perché si configuri il reato le molestie e i comportamenti fastidiosi non devono essere limitati a un episodio sporadico ma ripetuti nel tempo. Nè devono essere i «normali» insulti delle liti da pianerottolo.

EFFETTO BOOMERANG

Perché il giudice emetta la condanna per stalking, la vittima deve dimostrare di soffrire di ansia e stress per i comportamenti del vicino, di avere paura ad uscire o di aver dovuto modificare le proprie abitudini quotidiane per evitare di incontrarlo in ascensore o in garage. Se la vittima è in grado di raccontare la sua frustrazione con prove tangibili (certificati medici, prescrizione di farmaci), allora i vicini che hanno esagerato con insulti e minacce hanno da temere seriamente per la loro fedina penale. Ad esempio, una sentenza della Cassazione del 2016 ha condannato un inquilino poiché, a causa del suo comportamento vessatorio, il vicino si era dovuto sottoporre a delle terapie a base di tranquillanti perdendo anche parecchi giorni di lavoro. O ancora, il Tribunale di Padova nel 2015 aveva ordinato l’allontanamento di un condòmino dal proprio appartamento perché i vicini erano arrivati a sprangare le porte di casa, terrorizzati delle sue scenate. Se da un lato le vittime che si sono viste incendiare le begonie sul pianerottolo, avvelenare il cane o rubare la posta dalla cassetta delle lettere hanno dalla loro una legge che li tutela, dall’altro lato le denunce per stalking rischiano di essere un po’ troppo cavalcate. Anche quando i contenziosi si potrebbero risolvere al di fuori dell’aula di un tribunale. A sostenerlo è l’avvocato penalista Francesco D’Andria che, lapidario, afferma: «La denuncia per stalking è spesso usata in modo inappropriato e così il vittimismo diventa l’arte dei furbi e non più dei deboli. Si accusano di stalking anche quelli che sono semplicemente dei rompi-scatole e quella che dovrebbe essere la cura a un problema tra vicini si trasforma nella malattia da combattere. In questo modo le Procure si trovano intasate di procedimenti penali e rallentano i tempi anche per i processi di stalking reali».

L’AMMINISTRATORE ARBITRO

Tra i casi fasulli che si risolvono con un’archiviazione, c’è anche il fenomeno delle «denunce clone»: dopo la conclusione del processo, la presunta vittima non si rassegna e denuncia nuovamente il proprio vicino di casa per gli stessi fatti, reiterati in un periodo differente. E si ricomincia con incartamenti, fascicoli e aule di tribunale affidandosi al giudizio di un nuovo giudice. In una guerra tra condomini infinita che, ben che vada, si ferma alla denuncia alla polizia con tanto di ammonimento del questore. D’accordo che alcuni casi di violenza condominiale potrebbero degenerare in delitti o affini (come la strage di Erba) e quindi è bene cercare di stopparli con la denuncia, ma spesso ci si affida all’accusa per stalking esagerando. «Come se per uccidere una mosca usassimo la bomba atomica» sintetizza D’Andria. «I casi comprovati di stalking si contano sulle dita di due mani - sostiene anche Francesco Burrelli, presidente dell’associazione degli amministratori condominiali e immobiliari - Non bisogna confondere per stalking le liti più estreme ed estenuanti tra condomini. E anche gli avvocati in questo ricoprono un ruolo importante: devono saper distinguere fra le due cose e, quando possibile, stemperare e frenare chi parte con l’idea di compromettere penalmente il vicino di casa». Per prevenire le guerre all’ultimo sangue davanti all’avvocato, un ruolo chiave tocca proprio all’amministratore di condominio, primo arbitro delle questioni di pianerottolo. «Noi amministratori - spiega Burrelli - abbiamo una vera e propria funzione sociale, soprattutto per i palazzi di certi quartieri difficili. Sta a noi fare da ammortizzatore e cercare di non far degenerare le discussioni. Il 70% degli italiani vive in condominio ed oggi i palazzi non sono più come una volta: sono più multietnici e incrociano culture e conoscenze della legge diverse, spesso inconciliabili». Non che sia facile mediare i dissapori, ma già essere presenti, reperibili e pronti a rispondere può essere la via per evitare denunce alle forze dell’ordine.

DOVE SI LITIGA DI PIÙ

Paradosso vuole che a volte ad essere stalkerato sia lo stesso amministratore di condominio. Gli inquilini spesso si sentono autorizzati a inviargli messaggini Whatsapp a qualsiasi ora del giorno e della notte, con video per documentare «quello del terzo che parcheggia male» o gli schiamazzi della clientela del bar sotto casa. Il problema è che lo fanno con una frequenza quotidiana ed estenuante, senza rendersi conto che non è quella la via per risolvere il problema. «Ho dei condomini - racconta Renato Greca, presidente degli amministratori di Monza e Brianza - che mi chiamano alle 7,30 del mattino per raccontarmi l’ultima puntata della lite con il vicino. Mi scrivono raccontando i battibecchi e aggiornandomi giorno per giorno. Io cerco di ascoltarli e aiutarli ma mi rendo conto che quando scatta la modalità “ossessione“ diventa impossibile contenerli». In base ai dati dell’Anapic, l’associazione degli amministratori, sono 2 milioni le cause nate nei condomini e tuttora pendenti nei tribunali civili. Un numero ufficiale però non esiste perché sta alle singole cancellerie delle procure effettuare le stime e non tutte lo fanno. La cifra viene tuttavia confermata dal Codacons, l’associazione che tutela i consumatori: nella mappa delle regioni più litigiose, con 190mila cause condominiali, Campania e Lazio sono le più attaccabrighe.

A seguire ci sono Sicilia e Veneto con 160mila procedimenti pendenti a testa, e l’Emilia Romagna con 150mila casi. A quanto pare la rabbia tra le mura domestiche è sempre più incontenibile. Nel 2017 le richieste di mediazione sono state 167mila, contro le 184mila del 2016.

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