Ci sarà una ragione se non è mai successo, che sia stata Prima o Seconda Repubblica. Nel quadro instabile della politica italiana, che ha sempre consumato governi e presidenti del Consiglio senza troppi patemi d'animo, non è infatti mai accaduto che un premier in carica fosse «promosso» capo dello Stato. Peraltro, l'ultimo che ha tentato il salto da Palazzo Chigi al Quirinale non ne è uscito affatto bene. Ne sa qualcosa Giulio Andreotti, che nel maggio 1992 dovette alla fine cedere il passo a Oscar Luigi Scalfaro.
Nonostante i precedenti, però, quello di Mario Draghi al Colle continua ad essere uno dei due scenari più gettonati. Insieme al Mattarella bis, soluzione che il diretto interessato ha più volte fatto intendere di non contemplare. E siccome mancano ormai meno di tre mesi all'apertura ufficiale del valzer quirinalizio - il 3 gennaio il presidente della Camera Roberto Fico sarà chiamato a convocare il Parlamento in seduta comune e, al più tardi nella terza settimana del mese, inizieranno le votazioni - le due principali ipotesi in campo condizionano sempre di più la politica italiana.
Così, c'è chi ha visto nell'accelerazione imposta da Draghi all'agenda di governo anche un modo per puntellare il più possibile il Pnrr prima dell'elezione del capo dello Stato. Lo schema dei due Consigli dei ministri e una cabina di regia a settimana, infatti, è destinato a ripetersi nei prossimi mesi, nel tentativo di chiudere tutti i dossier sul tavolo. Il Monitoraggio sullo stato di attuazione del Pnrr presentato nel Cdm dello scorso 23 settembre individua 51 target (24 di investimenti e 27 di riforme) di cui 13 raggiunti (5 investimenti e 8 riforme). C'è ancora, dunque, una buona dose di lavoro, che il premier vuole portare a casa per l'inizio dell'anno, tanto che gli uffici del sottosegretario alla Presidenza Roberto Garofoli sono stati allertati su diversi dossier che saranno trattati in cabine di regia ad hoc. Un'accelerazione che alcuni, anche un ministro con cui Draghi ha una buona consuetudine, interpretano come la volontà di trovarsi a gennaio con il Pnrr sostanzialmente avviato, togliendo di fatto uno dei principali argomenti agli scettici di una promozione di Draghi al Colle. In verità, il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha scadenze annuali (o, per meglio dire, trimestrali) e si esaurirà solo nel 2026 (nel 2023 la parte più corposa). Certo, il fatto che ancora ieri Giancarlo Giorgetti sia tornato sul tema, conferma che l'ipotesi è sul tavolo. Come pure che prima dell'estate - in due diverse occasioni private - il ministro dell'Economia, Daniele Franco, si sia lasciato sfuggire che il governo ha il suo orizzonte «a febbraio». E sul punto, in altra occasione sempre privata, si era esposto anche il titolare dell'Innovazione, Vittorio Colao.
Così, chi sostiene che alla fine Draghi riuscirà nell'impresa che perfino il divino Giulio ha mancato, guarda attraverso queste lenti anche la disponibilità al confronto mostrata con Matteo Salvini, ricevuto a Palazzo Chigi e poi «invitato» a tornare settimanalmente per fare il punto sull'attività di governo.
In verità, lo scenario in questione si scontra con un grande limite. Gaetano Quagliariello la chiama «la sindrome Troisi». «A me bastava ca dicevano guarda che se non parli forse ti torturiamo e immediatamente parlavo, si nun capivano facevo 'nu disegno!», dice il protagonista Gaetano in Ricomincio da tre. E così il Parlamento, che se eleggesse Draghi presidente «forse» andrebbe incontro ad elezioni anticipate. Il solo rischio, insomma, è sufficiente a rendere la candidatura più debole di quanto si possa immaginare. Perché non è facile trovare parlamentari pronti a perdere un anno di stipendio, considerando non solo che per acquisire il diritto alla pensione devono arrivare a ottobre 2022, ma anche che il prossimo Parlamento avrà 345 posti in meno. Anche per questo, per esempio, Osvaldo Napoli si dice abbastanza convinto che Draghi resterà a Palazzo Chigi e guarda con più attenzione all'ipotesi di un Mattarella bis. A meno che la candidatura dell'ex Bce non sia suggellata pubblicamente dai partiti, con l'impegno a continuare la legislatura per mettere mano alla legge elettorale e magari riformare il bicameralismo. A quel punto, per usare un'espressione di Quagliariello, Draghi potrebbe essere «un presidente di sistema».
Resta
in campo, ovviamente, il terzo scenario, quello dell'outsider. Che peraltro confermerebbe la regola d'oro dell'assoluta imprevedibilità della partita per il Quirinale. Una sfida dove tutto è permesso e nulla è garantito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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