Cronache

Strage Lampedusa, condannato l'equipaggio di un peschereccio per omissione

Secondo i giudici i sette membri dell'equipaggio sono colpevoli di omissione di soccorso del barcone che il 3 ottobre 2013 è naufragato dinnanzi le coste di Lampedusa. Accolta la tesi della procura di Agrigento

Strage Lampedusa, condannato l'equipaggio di un peschereccio per omissione

Sono passati 7 anni da quella tragica notte in cui 368 persone hanno perso la vita a largo di Lampedusa. Era il 3 ottobre 2013: il ribaltamento di un peschereccio con a bordo diversi migranti partiti poche ore prima dalla Libia ha causato una delle sciagure più note che hanno coinvolto il Mediterraneo.

Oggi il tribunale di Agrigento ha condannato sette persone per omissione di soccorso. Per loro le accuse, portate avanti dalla procura siciliana, erano quelle di non aver fornito con il proprio peschereccio assistenza al barcone in avaria.

La maggiore condanna è stata inflitta a Matteo Gancitano, capitano del motopesca Aristeus di Mazara del Vallo. Secondo gli inquirenti, i quali si sono avvalsi dei rilevamenti del sistema satellitare di controllo del mare, il mezzo in questione era l'unico presente in zona nel momento in cui si è consumata la tragedia. Tuttavia l'equipaggio avrebbe preferito allontanarsi dall'area dove, da lì a breve, si sarebbe consumata la tragedia. Un'omissione che i giudici del tribunale di Agrigento hanno ritenuto decisiva per il verificarsi della sciagura.

Per Gancitano sono scattati sei anni di carcere. Quattro invece per il suo vice, Vittorio Cusumano, e per gli altri componenti dell'equipaggio, tra cui un italiano e quattro nordafricani. La pubblica accusa ha sempre sostenuto la sua posizione partendo dalle testimonianze di alcuni dei 152 superstiti. Secondo i migranti scampati al naufragio, i pescherecci nelle vicinanze del loro barcone erano due: “Erano di colore chiaro e della stazza di una motovedetta o di un peschereccio d'altura – si legge nelle testimonianze raccolte dall'Agenzia Habeisca poco dopo il disastro – Navigavano in coppia a poche centinaia di metri da noi, verso il largo. La nostra barca era ormai a meno di un chilometro dalla riva. Una delle due navi ha cambiato direzione, facendo un largo giro completo intorno al nostro barcone stracarico e poi ha ripreso velocemente la rotta, raggiungendo l'altra che si stava allontanando”.

Sempre secondo la versione dei superstiti, l'allontanamento dei pescherecci sarebbe all'origine della reazione che ha poi provocato il ribaltamento del barcone. Infatti, i migranti in avaria avrebbero interpretato il cambiamento di rotta di uno dei pescherecci come un mancato avvistamento del loro mezzo. Per tal motivo alcuni di loro hanno quindi acceso una coperta intrisa di gasolio. La fiammata ha provocato un incendio che ha innescato il panico a bordo, da cui è arrivato il ribaltamento fatale.

Le indagini hanno portato all'individuazione del solo Aristeus, il cui equipaggio però nel corso dell'intera durata del processo di primo grado ha sempre respinto le accuse. Secondo loro non sarebbe stato posto in essere alcun comportamento omissivo e il loro mezzo non si è allontanato dalla zona con l'intento di non soccorrere il barcone.

Sulla strage del 3 ottobre 2013 il tribunale di Agrigento aveva già emesso una sentenza. Si tratta, in particolare, della condanna inflitta nel 2015 a 18 anni di carcere a uno dei presunti scafisti del barcone della morte, il tunisino Khaled Bensalem.

Quest'ultimo è stato riconosciuto colpevole dei reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, naufragio e omicidio volontario plurimo.

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