Cronache

L'incredibile storia del poliziotto che ha ritrovato la foto della "biondina delle stragi"

In un libro mai dato alle stampe, il poliziotto che nel 1993 trovò la foto di Rosa Belotti ad Alcamo racconta la sua vicenda dove, in chiaroscuro, s'intravede il profilo di Giovanni Aiello, meglio noto come "Faccia da mostro"

L'incredibile storia del poliziotto che ha ritrovato la foto della "biondina delle stragi"

Che l’ispettore di polizia Antonio Federico abbia avuto una vita professionale degna di un libro non siamo noi a sostenerlo. Lo dimostra lui con i fatti. Del dott. Federico abbiamo già parlato in relazione a Rosa Belotti, la presunta “biondina delle stragi del 1993 a Firenze e Milano. È stato lui, infatti, a ritrovare ad Alcamo la foto ritraente la Belotti (foto in cui lei si è riconosciuta) all’interno di un libro impilato in uno scaffale a casa di Fabio Bertotto, il carabiniere che, a seguito di una controversa perquisizione domiciliare, ha passato diversi guai per la presenza, nella sua abitazione, di un arsenale di non meglio specificata provenienza.

Questo accadeva nel 1993. Solo nel 1997 Antonio Federico decideva di tirare fuori quella foto dicendo di essere rimasto colpito, quattro anni prima, dalla somiglianza tra la donna ritratta (la Belotti) con l’identikit della donna vista a Firenze e disegnata in un fotofit. Federico confonde Firenze con Milano: è solo nel contesto del secondo attentato che infatti viene stilato il fotofit con l’ormai famosa “biondina”. Viene poi da chiedersi come abbia fatto a notare una somiglianza, dal momento che la Belotti è – ed era – mora e, dobbiamo dirlo, ben poco somigliante a quel disegno. Ma non è questo il punto. Torniamo all’inizio: la vita professionale di Antonio Federico è degna di essere riportata in un libro e, in effetti, a farlo ci ha pensato lui stesso.

La struttura segreta di Gladio sul territorio di Alcamo: questo il titolo di un libro che circola in rete in versione Pdf. Un libro mai dato alle stampe e che non si capisce (perché non è scritto da nessuna parte) quando sia stato scritto. In questa fatica letteraria, Federico svela, tra le varie cose, i presunti retroscena della perquisizione in casa di Bertotto, sorvolando – chissà per quale motivo – sul ritrovamento della foto.

A guidarlo in casa del carabiniere (e a indicargli l’esatta ubicazione della foto nascosta in un libro, questo lo aggiungiamo noi) una fonte coperta, un personaggio che sembra uscito da una spy story dalla trama prevedibile, un Virgilio che guida il poliziotto/Dante attraverso i gironi del mistero e dell’intrigo. Mark – questo il nome che Federico attribuisce alla fonte – sbuca dal nulla e introduce il giovane poliziotto tra le fittissime trame di Gladio. Siamo vicino Trapani, siamo nei pressi del famigerato centro Skorpione, e Mark racconta a Federico la “verità” (le virgolette sono d’obbligo) sulla mattanza avvenuta nel 1976 all’interno della casermetta di Alcamo Marina. Secondo la fonte, i due carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta sarebbero stati eliminati perché avrebbero scoperto alcuni traffici di armi legati alla struttura semi-clandestina Gladio. Struttura di cui lo stesso Mark – dipinto da Federico in tinte romanzesche – farebbe parte in un ruolo apicale.

Una volta rotto il ghiaccio, senza una buona ragione apparente Mark decide che Antonio Federico sia la persona giusta per mettere i bastoni tra le ruote a quella che ha tutta l’aria di essere una sorta di Spectre. Siamo nel 1993 e, ufficialmente, Gladio è stata scoperta e dismessa tre anni prima, dopo che Giulio Andreotti ne aveva rivelato l’esistenza. Sappiamo però che in Sicilia, in particolare a Trapani, la struttura continuò ad essere operativa almeno fino al 1993 con le opache attività del centro Skorpione di cui fu direttore anche Vincenzo Li Causi.

Mark comincia a fornire a Federico delle soffiate per individuare alcuni punti “caldi”: basi e depositi di armi, come quello trovato in casa di Fabio Bertotto. Cominciano da questo momento una serie di vicissitudini dallo schema ricorrente: Mark fa una soffiata, Federico trova i riscontri, ma quando torna sul posto con i rinforzi – puntualmente – non c’è più nulla. Questo lo pone in una situazione complicata con i suoi superiori, che cominciano a osteggiarlo. Ma lui non si da per vinto e, con spirito di abnegazione, prosegue nella sua solitaria attività di monitoraggio e di caccia ai danni degli appartenenti a quella che si configura come una struttura super segreta e decisamente deviata.

Scorrendo le pagine di un libro che è a metà strada tra il saggio storico e il romanzo, dove non mancano velate allusioni e, forse, qualche verità incastonata in decine e decine di pagine zeppe di fatti difficilmente riscontrabili e apparentemente frutto di una fervida immaginazione, troviamo due elementi curiosi e degni di nota.

Il primo: Federico racconta di aver scoperto – ovviamente grazie a Mark – una vera e propria sede operativa di Gladio in località Calatubo, nei dintorni di Alcamo. La struttura – che Federico ha mostrato anche alla troupe di Report in un’intervista in occasione del trentennale della strage di Capaci – è in effetti una ben strana costruzione in cemento armato, una cattedrale nel deserto che senza dubbio ha avuto funzione militare e all’interno della quale Federico scrive di aver scorto, nottetempo, una vera e propria centrale operativa con poltrone, monitor, apparecchiature elettroniche e “un migliaio di piccole lucine che si illuminavano ad intermittenza”. Ovviamente pochi giorni dopo, tornato sul posto con i rinforzi, nulla di quanto visto poche sere prima era rimasto al suo posto. Sorvolando sul racconto fatto dall’autore, sarebbe effettivamente interessante scoprire a cosa servisse una struttura del genere in un punto simile.

Il secondo: il momento di massima tensione nel racconto fatto da Federico si verifica quando Mark gli confida che, in un certo punto, a una certa ora, potrà fare una grande scoperta. Siamo nel 1994, sono le 3 di notte. Antonio Federico, da solo, è appostato tra i cespugli sotto i piloni dell’autostrada A29, nei pressi della misteriosa struttura in zona Calatubo. È in attesa di alcuni uomini che, stando alla promessa di Mark, lo condurranno alla base principale di Gladio. Una base, neanche a dirlo, sotterranea. E in effetti gli uomini arrivano: si calano con delle corde dal ponte, sono in nove. Federico – che si dice terrorizzato dall’improvvisa apparizione – li descrive armati di tutto punto, possenti e alti almeno un metro e novanta. Mentre si appiattisce a terra per non farsi scoprire, Federico vede il volto di uno dei Rambo illuminato di sfuggita da una torcia: “L’immagine agli occhi fu terrificante. Quell’uomo aveva una cicatrice sulla guancia che gli attribuiva un aspetto ancora più minaccioso”. Se poi aggiungiamo che l’uomo aveva i capelli lunghi, è impossibile non pensare a Giovanni Aiello, più noto come “Faccia da mostro”, il poliziotto e agente segreto morto nel 2017.

Aiello – il volto sfigurato per un colpo di fucile – fu per un breve periodo alle dipendenze di Bruno Contrada presso la squadra mobile di Palermo, salvo congedarsi nel 1977. Il suo nome sale alla ribalta delle cronache nel 2009, quando il procuratore aggiunto della Direzione Nazionale Antimafia Gianfranco Donadio lo indica come al centro di una serie interminabile di trame. Tra le tante: il fallito attentato all’Addaura, la strage di via D’Amelio e la strage di via dei Georgofili. In buona sostanza, Aiello sarebbe stato uomo di cerniera tra mafia, servizi segreti e ‘ndrangheta.

Terminata la lettura del libro, quello che resta sono le domande. ilGiornale.it ha contattato Antonio Federico, che però si è reso disponibile per un’intervista solo ai primi di giugno. Approfittiamo per porne qui alcune, dandogli – se lo vorrà – il tempo di ragionare sulle risposte: Perché – in un libro così generoso di dettagli – nemmeno una menzione della foto di Rosa Belotti?Relativamente a molti dei fatti raccontati, il dott. Federico sarebbe in grado di dimostrarne la veridicità? E infine, il personaggio dal volto sfigurato è Giovanni Aiello?

Su quest’ultimo punto ci teniamo davvero ad avere una risposta, perché leggendo il libro si ha l’impressione di trovarsi di fronte a una sorta di messaggio diretto a qualcuno, un ammiccamento. Forse ci sbagliamo.

Forse ce lo dirà alla prima occasione buona Antonio Federico.

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