Cronache

La stravagante teoria de L'Economist: "Senza confini, tutti più ricchi"

Se si abolissero i confini di tutto il mondo, secondo l’Economist, si produrrebbero ogni anno 68 mila miliardi e saremo tutti più ricchi

La stravagante teoria de L'Economist: "Senza confini, tutti più ricchi"

Cosa accadrebbe se i confini di tutto il mondo venissero aboliti? Secondo l'assurda teoria del settimanale Economist, descritta in un articolo della serie “The World if” (“Il mondo se”), il nostro pianeta diventerebbe immensamente più ricco.

Secondo l’Economist si produrrebbero ogni anno 68 mila miliardi in più di Pil in quanto spostandosi da un paese in via di sviluppo a uno sviluppato, un lavoratore moltiplica la sua produttività. "Chi prima lavorava la terra con un aratro di legno ora guida un trattore", si legge nell’articolo. Tale teoria si base sul concetto che qualsiasi lavoro rende di più se fatto in un paese sviluppato piuttosto che in uno dove i governi non funzionano. "Dal punto di vista economico non ha senso che qualcuno lavori in Nigeria", spiega un economista interpellato dal settimanale.

Ma quanta gente si sposterebbe, se le frontiere di tutto il mondo venissero dichiarate aperte? Sulla base di un sondaggio fatto da Gallup per l’Economist dice che, se si abolissero le frontiere, si sposterebbe circa il 10% della popolazione mondiale, pari a 600 milioni di persone, anche se il settimanale ammette che sia una stima soltanto approssimativa. Quello che frena i Paesi occidentali è la paura dell'aumento della criminalità e del terrorismo. Ma negli Usa gli immigrati commettono meno crimini rispetto a chi vive già in quel Paese mentre in Europa avviene il contrario perché i migranti sono giovani e maschi.

Se, però, le frontiere fossero aperte a tutti, a muoversi sarebbero famiglie e persone più mature e meno inclini a delinquere. La crescita economica, infine, potrebbe arginare il terrorismo. L’Economist ammette comunque che aprire le frontiere in modo indiscriminato, almeno nel breve periodo, comprimerebbe i salari dei lavoratori dei paesi sviluppati che hanno competenze più basse. Inoltre si potrebbero diffondere nuovi partiti islamisti e il fatto che gli Stati Uniti, Paese con forte immigrazione, sia rimasto ricco non è di per sé un’assicurazione che l’immigrazione di massa porti dei benefici.

Ma per l'Economist, se la paura è che i migranti possano sconvolgere il sistema politico dei paesi d'arrivo, allora proibiamogli di votare per cinque, dieci anni oppure per tutta la vita. Se, invece, si teme che l’impatto del loro arrivo sia troppo costoso, allora alziamo i prezzi dei visti per entrare nei nostri paesi, oppure creiamo tasse solo per gli stranieri o impediamo loro l’accesso a parte dello stato sociale. La dimostrazione, si legge sul Post che riporta il pezzo tradotto quasi integralmente, è che anche a queste severe condizioni la migrazione è spesso un’alternativa allettante.

Nei paesi del Golfo, infatti, milioni di immigrati lavorano nonostante non godano di alcun diritto politico, né di alcun tipo di stato sociale.

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