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Il suicidio del Pd grillinizzato

Dove finisce la sinistra? L'ultima grande inquietudine del Pd è questa. Non passa giorno che qualcuno non stia lì a segnare il confine.

Il suicidio del Pd grillinizzato

D ove finisce la sinistra? L'ultima grande inquietudine del Pd è questa. Non passa giorno che qualcuno non stia lì a segnare il confine. Ormai si è capito: Renzi sta al di là del perimetro, i grillini sono dentro.

Zingaretti parla dopo la direzione del partito e in una frase svela cosa si aspetta dal futuro. «Il successo di Draghi dipende dall'alleanza politica tra Pd, M5S e Leu, l'anima del governo Conte».

In pratica dice che gli altri non contano, il governo Draghi è fatto della stessa sostanza di Conte e c'è un nuovo albero, dopo la quercia e l'ulivo, da piantare nel bosco della sinistra. Si può già pensare a una sorta di primarie per votare il simbolo: ippocastano, pioppo o cipresso. La scelta dipende se si è utopici, disincantati o disillusi e dal grado di ottimismo.

È interessante in questa storia il ruolo di Conte. Di fatto è stato seppellito. Non lo vogliono candidare neppure alle suppletive di Siena. C'è chi lo vuole a Roma per farlo inghiottire dalla città eterna, ma continuano a evocarlo come uno spirito, simbolo del bel tempo che fu. È che il fantasma di Giuseppe serve a incantare il popolo grillino. Il Pd non è che non vede le macerie del Movimento. Le sente, le percepisce, ma punta a rastrellare all'interno della coalizione il consenso smarrito, disperso, che cerca un porto verso cui approdare.

È il sogno di una doppia metamorfosi. I grillini si fanno dem e il Pd si grillinizza. Tanto tutti e due hanno già da tempo fatto pace con la loro anima. L'importante, come ricorda ancora Zingaretti, è stare compatti, uniti, fare finta di essere sani e nascondere sotto traccia l'eterno gioco delle correnti, perché fuori c'è un mondo buio e freddo.

Ci stanno quelli lì, con cui adesso ti tocca pure governare. C'è Berlusconi, c'è Salvini da tenere in cantina e c'è il traditore da sterilizzare. Il traditore è lui, Renzi, che viene bandito dalla città dei buoni e spostato verso destra, con la speranza di non averci mai più a che fare.

È che Renzi non ha ancora scelto dove andare. C'è ancora la tentazione di riprendersi il vecchio partito dove ha lasciato la sua «quinta colonna». È una partita che si giocherà al prossimo congresso. Non ha però neppure rinunciato all'idea di ricreare intorno al suo nome un grande centro, dove ci sono tanti voti in libertà. Il problema in questo caso è l'altro Matteo, che non vuole altra concorrenza nel suo campo.

Tutto questo comunque è ancora molto lontano. Sta per iniziare il tempo di Draghi e quando finirà molte cose non saranno più le stesse. Il presente è la passione dei vertici del Nazareno per la schiatta dei Di Maio e dei Toninelli. Non hanno mai avuto migliori compagni di viaggio.

Il futuro del Pd è la nostalgia per il governo Conte.

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