Sunniti e Obama. Così Teheran oggi è più debole

Solo ora, a quasi sedici anni dall'ingresso di Obama alla Casa Bianca, la catena di eventi da lui avviata sta arrivando all'apparentemente inevitabile conclusione

Sunniti e Obama. Così Teheran oggi è più debole

Solo ora, a quasi sedici anni dall'ingresso di Obama alla Casa Bianca, la catena di eventi da lui avviata sta arrivando all'apparentemente inevitabile conclusione: una vera e propria guerra tra lo Stato israeliano, con i suoi alleati dichiarati e non, e la dittatura teocratica iraniana, con le sue milizie arabe sciite sovvenzionate in Libano, Siria, Irak e Yemen, che amplificano il suo potere e, di riflesso, spingono quasi tutti gli Stati arabi sunniti a cooperare con Israele, apertamente o meno.

La politica iraniana di Obama aveva due facce, una perfettamente ragionevole e persino saggia, e l'altra semplicemente troppo ottimistica. Questo fino al momento in cui l'ostinazione di fronte al fallimento l'ha resa delirante, prima sotto lo stesso Obama, e poi sotto l'amministrazione Biden, che ha resuscitato l'approccio filo-Teheran dopo Trump. Guardando al passato, il bilancio è netto: le sempre maggiori concessioni statunitensi sono state ricambiate da attacchi rimasti impuniti.

La parte troppo ottimistica era la convinzione che gli Stati Uniti potessero persuadere il regime di Teheran ad abbandonare la sua ostilità di «morte all'America». Forse perché si è affidato al suo compagno di università Roger Malley, il cui intenso odio per Israele non lo rendeva necessariamente un esperto di Iran, Obama non si è reso conto che, nella fase storica in cui si era proposto di blandirlo, il regime versava in una situazione particolare: la miscela di oppressione e corruzione istituzionale gli aveva fatto perdere il sostegno della maggior parte degli iraniani, lasciandolo interamente dipendente dagli estremisti professionisti delle Guardie Rivoluzionarie, dalla loro milizia Basij e dai chierici più politicizzati. È per questo che tutti i tentativi di riconciliazione reciproca sono falliti sotto Obama, nonostante i due successivi accordi sul nucleare e l'abolizione totale delle sanzioni. Aperture che sono state seguite non da amicizia diplomatica, ma da una maggiore ostilità, sfociata negli incidenti marittimi inscenati dalle Guardie Rivoluzionarie nel Golfo Persico subito dopo la firma del Piano d'Azione Congiunto Comprensivo nel luglio 2015, al culmine della politica di riconciliazione di Obama.

Siccome Obama ha costretto Biden ad assumere Roger Malley come proprio coordinatore per l'Iran, l'amministrazione dell'attuale presidente si è mossa molto velocemente per ripudiare l'ostilità di Trump verso il regime degli Ayatollah, in un esagerato tentativo di riconciliazione. Un esempio è lampante: la milizia Houthi, «proxy» dell'Iran nello Yemen, che la Marina statunitense sta combattendo nel Mar Rosso, è stata rimossa unilateralmente dalla lista dei terroristi all'inizio dell'amministrazione Biden senza avere nulla in cambio, solo per segnalare a Teheran che il corteggiamento di Obama al regime veniva rinnovato dopo l'intervallo di Trump.

La parte ragionevole della politica di Obama è stata quella di distogliere la Washington ufficiale dall'illusione che l'Iran potesse essere messo fuori gioco come l'Irak di Saddam Hussein con una rapida marcia verso Teheran di un paio di divisioni statunitensi. Certo, si tratta di un Paese molto più grande, quasi il quadruplo, e con il doppio della popolazione, ma la vera differenza sta nello spionaggio imperiale iraniano, derivato dal remoto passato pre-islamico del Paese, ma così profondamente radicato nella cultura che persino i fanatici religiosi al potere, che abiurano l'Iran pre-islamico, quando si tratta di diplomazia e guerra sono sì fanatici, ma ad alto funzionamento. Sanno come manipolare la percezione estera dell'Iran per raggiungere i loro obiettivi, non da ultimo simulando una calorosa convivialità con i negoziatori statunitensi che in privato non sopportano, mentre negli scontri sanno sempre arrivare al limite, senza cadere nell'abisso. Per fare un piccolissimo esempio, Iran Air vola ancora a Londra diverse volte alla settimana, anche dopo gli attacchi ai dissidenti da parte dei sicari di Teheran, che sono fuggiti in Iran semplicemente prendendo un taxi per l'aeroporto londinese di Heathrow e imbarcandosi sul volo Iran Air 711 diretto al Khomeini International di Teheran. Sapendo che il ministero degli Esteri inglese vuole disperatamente mantenere la sua ambasciata e i suoi diplomatici a Teheran - non perché sia concretamente utile, ma solo per avere qualcosa che manca a Washington -, il regime iraniano perpetra ogni sorta di abuso, contando sul fatto che non ci saranno ritorsioni.

Soprattutto, i leader iraniani sanno come reclutare e comandare gli arabi che tanto disprezzano in quanto loro inferiori culturali (li chiamano molokh khor, ovvero «mangiatori di lucertole», cioè abitanti del deserto) per servire gli interessi nazionali dell'Iran. È quindi molto raro che la divisione tra arabi e persiani emerga, ma quando lo fa volano scintille. Nel novembre 2010, ad esempio, alcuni stralci di un discorso del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, sull'identità islamica dell'Iran, hanno suscitato scandalo in Iran perché Nasrallah ha affermato che essa ha radici arabe e non persiane, cioè che l'islam è stato portato in Iran dai suoi conquistatori arabi. Un fatto storico. Ma l'odierno islam sciita è arrivato in Iran solo dopo il '500, con predicatori turchi e curdi provenienti dall'Anatolia, e questo è bastato a scatenare furiosi attacchi sui social media contro Nasrallah in particolare e contro gli arabi in generale.

Tuttavia, nessun incidente potrebbe annullare l'ascesa dell'Iran nel mondo arabo. Sin dalla caduta dello Scià - per la quale l'ayatollah Khomeini ottenne con successo il sostegno degli Stati Uniti e dell'Europa presentandosi come una sorta di liberale -, Khomeini ha iniziato la sua campagna, altrettanto ingannevole, per convincere gli arabi sunniti che la divisione tra sunniti e sciiti non è importante, perché il suo Iran odiava gli ebrei più dei sunniti, e per convincere gli arabi che la divisione tra arabi e persiani non è importante perché il suo Iran si opponeva a Israele più intensamente di qualsiasi Stato arabo. Nel frattempo le Guardie Rivoluzionarie iraniane hanno imparato ad addestrare le reclute di lingua araba e a motivarle a combattere sul serio, trasformandole in risorse preziose perché abbondanti, poco costose e, soprattutto, non sono persiani ma solo arabi sacrificabili.

L'Iran ha avuto un tale successo con la sua politica di reclutamento arabo che alla fine - come spesso accade nella politica internazionale - ha iniziato ad avere problemi: mentre le milizie arabe iraniane diventavano sempre più potenti in Libano con Hezbollah, in Siria e in Irak, nonché in Yemen con gli Houthi, gli Stati arabi sunniti, dal Marocco fino alla Giordania, che avevano combattuto Israele nelle guerre del 1948 e del 1967, sono diventati uno dopo l'altro alleati di Israele, apertamente o discretamente. L'inizio della guerra di Hamas, il 7 ottobre, non ha guadagnato alcuna benevolenza per Israele o per gli ebrei, ma ha dimostrato più che mai che solo Israele ha la forza di resistere alle ambizioni imperiali dell'Iran.

Quando il primo aprile un attacco aereo israeliano all'edificio consolare iraniano a Damasco ha decapitato il comando delle Guardie Rivoluzionarie iraniane che gestisce le milizie sciite in tutto il Medio Oriente, uccidendo il generale Mohammad Reza Zahedi, il suo vice Haji Rahimi, il suo capo di Stato maggiore Hussein Amirollah e altri tre ufficiali, non si è sentita una sola parola di critica nel mondo arabo sunnita.

La successiva risposta militare dell'Iran è stata un bombardamento a tutto campo con 120 Emad, Ghadr-1 e Kheibar Shekan, copie di missili balistici nordcoreani assemblati localmente, 30 copie di missili da crociera cinesi prodotti localmente e 170 droni da bombardamento Shahed-136 e Shahed-131. Si è trattato di un attacco molto costoso (i russi pagano bene i droni e i missili balistici non sono a buon mercato) che è fallito miseramente, con un solo ferito israeliano, la beduina Amina Al Hassouni, di sette anni, invece delle temute decine di migliaia, e danni di pochissimo conto.

I missili balistici iraniani sono stati intercettati molto al di sopra dell'atmosfera dai velocissimi missili Arrow di Israele, nel primo esempio di guerra spaziale dell'umanità, tranne sei che sono stati distrutti nella loro discesa da due cacciatorpediniere a guida missilistica della Marina statunitense. Quanto ai 30 missili da crociera di tecnologia cinese, sono stati intercettati dagli F35 israeliani sulla Siria o dai missili anti-aerei Patriot statunitensi sull'Irak, oppure sono semplicemente precipitati. Infine, i 170 droni Shahid hanno fornito esercitazioni gratuite (i bersagli aerei non sono a buon mercato) agli F15 statunitensi e ai Rafale francesi con base in Giordania, nonché agli F16 giordani; altri ancora sono stati abbattuti dai caccia israeliani, tranne quelli che si sono schiantati durante il tragitto.

Con l'eccezione dell'Algeria, concentrata sui suoi traumi, della Libia, che non si è mai ripresa dalla guerra civile, e del Kuwait, che confina con l'Iran, tutti gli Stati sunniti del Medio Oriente hanno accolto con favore l'esito fallimentare dell'offensiva iraniana. Dopo aver sentito i portavoce iraniani promettere un feroce e catastrofico bombardamento a oltranza per punire Israele per aver osato uccidere Zahedi e i suoi barbuti subordinati, la realtà militare ha rivelato che l'Iran è semplicemente surclassato nella lotta con Israele. La Germania ha già ordinato batterie Arrow per miliardi di dollari, il Giappone, che sta affrontando la Corea del Nord, ne vuole una propria, ma è l'Arabia Saudita - già attaccata dai missili iraniani più di una volta - il Paese su cui conta Israele. Non solo per la sua grandezza complessiva, ma anche per la vasta portata delle joint venture tecnologiche tra i due già in fase di negoziazione. Non a caso i voli tra gli Emirati Arabi Uniti e Israele non si sono mai fermati per un giorno, anche se i voli statunitensi ed europei sono stati ripetutamente interrotti.

Per quanto riguarda i capi militari iraniani, il loro standard di successo è così basso che, subito dopo il fallimento dell'offensiva aerea, Mohammad Bagheri, capo di Stato maggiore delle forze armate iraniane, ha dichiarato che l'Iran «ha raggiunto tutti i suoi obiettivi e, a nostro avviso, l'operazione è terminata e non intendiamo continuarla».

Poi Bagheri ha incautamente aggiunto una vana minaccia: «Se il regime sionista o i suoi sostenitori dimostreranno un comportamento sconsiderato, riceveranno una risposta decisa e molto più forte». Una sfrontatezza poco saggia, perché Israele attaccherà sicuramente l'impianto nucleare iraniano se mai si avvicinerà ad assemblare un'arma.

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