Cronache

Tassa del governo Monti e la patatina non tira più

La rabbia del re degli snack reclamizzati con lo spot-scandalo di Rocco Siffredi. "Pagare un’imposta aggiuntiva di 75mila euro al giorno? Piuttosto vendo tutto"

Tassa del governo Monti e la patatina non tira più

Da quando il governo Monti ha annunciato che intende mettere una tassa sulle patatine, Alfredo Moratti si ritrova con un numero di capelli insufficiente per alloggiare tutti i diavoli che ha sulla testa. «Guardi, il discorso è semplice: i tecnici sono dei grandissimi (bip). Renato Balduzzi, il ministro della Salute, non capisce un (bip). Adesso hanno veramente rotto i (bip). Vogliono rendersi conto sì o no, questi (bip), che gli operai guadagnano poco e a noi costano troppo? Lo sanno che il 20 per cento dei miei dipendenti ha dovuto far ricorso alla cessione del quinto dello stipendio per mantenere la famiglia? Io li mando a (bip), vendo a una multinazionale e vado a pescare».

Lo specialista italiano delle patatine non è tipo da sorvegliarsi nel modo di comunicare. S’era involontariamente avviato su un sentiero scivoloso già nel 1980, quando aprì la Pata, che si differenziava da quella dei pantaloni solo per una «t». Con Amica chips, l’azienda fondata dieci anni dopo insieme al socio Andrea Romanò, è stato condannato a passare alla storia per uno spot che si chiudeva col motto «A chi piace la patatina». Un claim, per dirla all’inglese, tutto sommato inoffensivo, che però è rimasto nell’immaginario collettivo come «La patatina tira», perché a interpretare l’allusiva pubblicità era l’attore porno Rocco Siffredi, soprannominato Mister 23 centimetri, attorniato da stangone in costume ai bordi di una piscina: rifaceva il verso a Hugh Hefner, il fondatore di Playboy. A quel punto tanto valeva insistere con «La patata tira», diventato il credo aziendale dipinto persino sui camion.

Il guaio è che adesso la patatina rischia di non tirare più. Moratti aveva resistito alle proteste del Moige (Movimento italiano genitori) e alla censura del Giurì, che fece sospendere quel primo spot per violazione degli articoli 9 (violenza, volgarità, indecenza) e 10 (convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona) del codice di autodisciplina pubblicitaria, costringendolo a castigare i successivi. Ma l’offensiva del governo rischia di lasciarlo come Siffredi: in mutande. Da autodidatta fermatosi alla scuola dell’obbligo perché aveva tanta fretta di lavorare e poca voglia di studiare, era destino che soccombesse sotto i colpi di maglio dei Professori: «Si rende conto? Hanno ventilato una tassa di un euro su ogni chilo di prodotto finito. Per noi vorrebbero dire 75.000 euro al giorno. In aggiunta agli oltre 4 milioni, fra imposte dirette e indirette, che già siamo costretti a versare ogni anno. Una follia».

I conti sono presto fatti. Nello stabilimento di Amica chips a Castiglione delle Stiviere (Mantova), in funzione 24 ore su 24, entrano ogni giorno 11 camion carichi di patate crude, per un totale di 200 tonnellate, e ne ripartono altri 45-50 stipati di patatine fritte in busta per un peso di 75 tonnellate. Un torrente di 75 milioni di foglie croccanti che si riversano in supermercati e bar di 21 Paesi, fino all’Indonesia. C’è persino un rabbino che una volta l’anno arriva da Milano, da Parigi o da Amsterdam, dorme qui ospite di Amica chips, alle 4 del mattino si sveglia, va in azienda e fa partire l’impianto per la produzione kasher pigiando un bottone, comodo succedaneo dell’accensione del fuoco nel rituale ebraico. E siccome gli ingredienti sono soltanto tre e tutti naturali, patate, olio di girasole e sale, «quelli della patatina» - è così che li definisce l’altro slogan della casa - esportano anche nei Paesi islamici, in particolare Egitto, Arabia Saudita, Tunisia, Giordania e persino nella Striscia di Gaza, «perché questo è un cibo molto democratico, che tu sia un profugo palestinese o un muratore italiano, con meno di un euro ti sazi, ma se quei (bip) che stanno a Roma ci mettono sopra la tassa, me lo dice lei chi mangerà più le patatine?». La qual cosa sarebbe appunto l’obiettivo del ministro della Salute, deciso a penalizzare l’intero comparto del cosiddetto junk food, cibo spazzatura, dalle merendine ai dolciumi, ritenuti responsabili dell’obesità, quindi dell’aumento delle patologie cardiovascolari che provocano una voragine nel bilancio del Servizio sanitario nazionale.

L’azienda mantovana ha 210 dipendenti, che con l’indotto arrivano a 300, fattura 70 milioni di euro l’anno ed è seconda nella classifica nazionale degli snack salati, dietro la San Carlo, «che però è su piazza da più di 70 anni», ci tiene a rimarcare il presidente di Amica chips. La sua quota di mercato, 26 per cento, sale al 38 nel Nordest, cioè è il marchio leader nelle regioni d’Italia dove si mangiano più patatine, magari con l’aiuto dello spritz.

Moratti, 58 anni, separato, ha due figli già adulti, nati dal primo matrimonio e impegnati in azienda: Laura si occupa di marketing, Oscar di acquisti e produzione. Dall’attuale compagna ha avuto una bimba, Marina, 6 anni: «Io e la sua mamma ci sposiamo il 1° maggio, che è la mia festa. Il 2 sarò di nuovo in ufficio». La vocazione per la patatina gli è venuta mentre gestiva un’impresa di trasporti: «Tutte le settimane mandavo in giro per l’Italia almeno 25 camion carichi di buste prodotte da due ditte di Mantova che lavoravano per la San Carlo. Ho capito che era un bel business. E mi ci sono tuffato».

Ora vorrebbe uscirne.
«Che il governo degli intelligentoni s’era inventato questa nuova tassa l’ho saputo dal Tg1. È come se m’avessero demolito».

È proprio sicuro che la introdurranno?
«Ma certamente! Mi sono documentato: c’è già in Danimarca e Francia. I nostri copiano, non è che abbiano tanta fantasia. L’Italia ormai è finita, spacciata. La gente non ha più voglia di lavorare e ai pochi che ancora ce l’hanno ci pensa Monti a farla passare. Vede quelle donne che puliscono i pavimenti? Al loro posto dovrebbero esserci degli operai maschi. Ma non li trovo. Non c’è più un giovane in circolazione che sia disposto a piegare la schiena. Soltanto le mogli e le madri, poverine, sgobbano per mandare i figli a scuola. Ma a studiare che? Sono anni che cerco due impiegate commerciali che sappiano l’inglese. Ne ho cambiate una decina. Non riescono neanche a dire “good morning”».

Non starà esagerando?
«Per mancanza di manodopera devo produrre in parte anche a Valencia, in Spagna, e in parte in uno stabilimento vicino a Brighton, in Inghilterra. E sul più bello che stavo per mettere giù una nuova linea qui a Castiglione delle Stiviere, un investimento da un milione e mezzo di euro, il governo va a inventarsi la tassa sulla patatina. Col (bip) che la costruisco!».

Era proprio indispensabile arruolare Siffredi per lanciare Amica chips?
«Manco sapevo chi fosse. Sono sceso al primo piano, dove lavorano 9 impiegate, e ho chiesto: quante di voi conoscono Rocco Siffredi? Hanno alzato la mano in quattro. Ho interrogato la loro capa: e tu? “Non di persona”, ha risposto. E lì ho capito tutto».

La maggioranza vince.
«La scelta l’hanno fatta l’agenzia Leo Burnett, mia figlia e il mio socio. Io ero contrario. Siete pazzi, gli ho detto. Ma oggi devo riconoscere che avevano ragione loro».

Dove avete girato?
«Il primo spot a Budapest, dove Siffredi abita con la moglie Rózsa Tassi, ex Miss Ungheria, e i due figli. Il secondo in Argentina, dove le modelle costano dieci volte meno che in Italia».

Hanno fatto aumentare le vendite?
«Hanno aumentato la notorietà e la memorabilità del marchio. Tutti ne parlano. Le patatine sono un prodotto d’impulso. Non è che la casalinga le segni nella nota della spesa quando va all’Esselunga».

Chi ha creato lo slogan «La patata tira»?
«Un anziano copywriter di Bologna, Fumagalli si chiama, non ricordo il nome. Lo stesso che ha inventato “Pippo la scopa”».

Un veterano.
«Mi sembrava un doppio senso giocoso per un prodotto allegro, antidepressivo».

Ma indigesto ai genitori del Moige.
«Il Giurì ci ha fatto capire che se lo stesso spot l’avessimo girato con Gerry Scotti o con Paolo Bonolis non sarebbe stato bocciato. Abbiamo ricevuto migliaia di mail, solo il 25 per cento da telespettatori indignati. La cosa curiosa è che protestavano contro la volgarità di Siffredi con una sequela di parolacce. Bel paradosso, eh».

Il parroco di Castiglione delle Stiviere ha tuonato dal pulpito?
«Chi? Don Giuliano Spagna? È un amico, viene a mangiare a casa mia. Gli do le patatine gratis per i bimbi dell’oratorio. Qui arrivano richieste da ogni dove: preti, suore, frati, circensi».

Anche dai cistercensi?
«Macché cistercensi. Circensi, la gente del circo. Non rimandiamo mai indietro nessuno a mani vuote».

Ma la sua compagna che cos’ha detto dello spot?
«Devo essere sincero? Non le è piaciuto. Poi ha conosciuto Rocco Siffredi, una sera a cena, nel nostro store di Zola Predosa».

E le è piaciuto.
«Ha visto che è una persona normale».

Normale? Anni fa intervistai la sua conterranea Antonella Del Lago, pornostar, che abita qui vicino, a Marmirolo. Le leggo che cosa mi disse: «Rocco Siffredi è un bruto. Sul set riesce a mantenere l’eccitazione soltanto violentando le attrici. Basta guardare una scena del film Rocco e i mercenari. Dura 20 minuti. Lì si vede tutta la mia sofferenza. Lo rimproverò persino il regista Joe D’Amato, che adesso è morto, pace all’anima sua: “Non si fa così con le donne”. Piansi per due ore, dopo aver girato. E piansi per tutto il viaggio di ritorno da Almeria, in Spagna, a Mantova. Quello deve farsi curare».
«Oh, io mica sono andato a letto con Siffredi. È stata lei a girare questo film con lui. Poteva scegliere un altro mestiere, invece di recitare nei film porno».

Consumare patatine fritte è come fumare marijuana: dà dipendenza. Lo scrive il medico veneziano Filippo Ongaro nel libro Mangia che dimagrisci.
«Però! Bene. Me l’ha confermato anche Luca Zaia, governatore della Regione Veneto, quand’era ministro dell’Agricoltura. “Ma lo sa che mi mangio un sacchetto di Amica chips tutti i giorni?”, mi disse al Sial, il Salone internazionale dell’alimentazione di Parigi».

Uno studio dell’Università della California ha dimostrato che le patatine contengono acidi trans, niente a che vedere con quelli che fanno concorrenza a Siffredi. Quindi aumentano l’irritabilità e l’aggressività.
«Falso! Lo escludo tassativamente. Uno che è incazzato non si mette a mangiare 200 foglie di patata, una per volta. Sbrana un hamburger, piuttosto. Li dovrei denunciare questi professori californiani».

Lo faccia. Beatrice Golomb, si chiama la ricercatrice.
«Lo sa perché non lo faccio? Non ho nessunissima fiducia nella giustizia. Allora, mi stia a sentire. Il problema dell’Italia, dal più piccolo artigiano alla più grande multinazionale, sono gli insoluti. Mandi le patatine e le ditte non saldano le fatture. L’iter di un decreto ingiuntivo dura otto anni, per cui non butto via altri soldi in avvocati e bolli. Ormai ci ho rinunciato».

La capisco.
«Sa qual è l’unica causa che ho vinto in vita mia? Contro un cliente tedesco. In Germania, però. Mio figlio Oscar e un nostro tecnico si sono presentati al mattino in tribunale a Monaco di Baviera. La prima cosa che gli hanno chiesto in cancelleria è stata: “Da dove venite?”. “Dall’Italia”, hanno risposto loro. Il funzionario gli ha subito rimborsato, cash, i 500 euro del volo. Alle 10 è cominciata l’udienza. Alle 11 era già finita. Due settimane dopo il giudice ha depositato la sentenza. Siccome il condannato tardava a versarci i 300.000 euro che ci doveva, il tribunale gli ha bloccato i beni in banca e noi abbiamo incassato. Mi sono spiegato?».

Magnificamente.
«Bene. Causa a Napoli della Saiwa, gruppo Danone, contro di noi, per concorrenza sleale. Prima udienza il 28 luglio. Caldo bestia. Mi presento alle 8 con tre avvocati di Milano e due di Napoli. La Saiwa con i suoi. Alle 9 eravamo in 18 ad aspettare davanti a una porta chiusa su cui era appeso il bigliettino “Non c’è nessuno”. Un legale napoletano dice: “Ci penso io”. Sparisce. Torna dopo 15 minuti: “Niente da fare. Tutti a casa”. Avevo preso l’aereo e dormito all’hotel Excelsior, dove una camera costa 400 euro. Mi ripresento dopo quattro mesi. Il giudice, con gli occhiali da sole: “Io ho 20 minuti di tempo”. Il pubblico ministero mandava Sms col telefonino. Alla fine sono riuscito a patteggiare solo perché mi ero preso come difensore un principe del foro, l’ottantenne professor Gustavo Minervini, che il tribunale civile aveva nominato amministratore giudiziario del Napoli Calcio».

Non può negare che le patatine facciano aumentare colesterolo e trigliceridi.
«Io ne mangio quattro sacchetti a settimana. Mi vede grasso? Analisi perfette. Certo, se te ne spari mezzo chilo al giorno... Noi le friggiamo in olio di girasole. Ottima digeribilità e solo il 33 per cento di grassi. I concorrenti usano olio di colza, o di palma, o di semi vari, che sono una schifezza ma costano il 20 per cento in meno».

Ma perché le patatine piacciono a tutti, lei l’ha capito?
«Perché sono fritte. Bollite non le mangerebbe nessuno».


(593. Continua)

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