Cronache

Dopo 40 anni una casa agli sfollati dell'Irpinia

Giovedì, alcuni nuclei familiari di Montella abbandoneranno definitivamente le baracche precarie, dove alloggiano dal 1980, per vivere finalmente sotto un tetto accogliente

Dopo 40 anni una casa agli sfollati dell'Irpinia

Ancora una settimana e le famiglie che vivono nelle baracche dal 1980 avranno finalmente una casa vera. Sono trascorsi quarant’anni dal terremoto in Campania che rase al suolo gran parte della provincia di Avellino. Quella domenica del 23 novembre, alle ore 19.34, la terra tremò così forte da cambiare per sempre la vita di tantissime persone. Il sisma provocò 2.914 morti, 8.848 feriti e 280mila sfollati, una tragedia di cui si pagano ancora le conseguenze a distanza di quasi mezzo secolo. Giovedì, alcuni nuclei familiari di Montella, in Irpinia, riceveranno le chiavi del loro nuovo appartamento; abbandoneranno definitivamente i container precari dove hanno alloggiato tra stenti e privazioni per vivere finalmente sotto un tetto accogliente. Ma si tratta di un record: 40 anni di sacrifici e speranze per vedere affermato un loro diritto. Tempo fa, l'87enne Lucia Senatore raccontò i suoi trentasette anni vissuti all'interno di un container.

Il terremoto dell'Irpinia del 1980 fu un sisma che colpì la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale, caratterizzato da una magnitudo di 6,9 (decimo grado della scala Mercalli) con epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania. Una forte scossa della durata di circa 90 secondi, con un ipocentro di circa 10 chilometri di profondità, colpì un'area di 17mila chilometri quadrati, che si estendeva dall'Irpinia al Vulture, posta a cavallo delle province di Avellino, Salerno e Potenza. Le città più duramente colpite furono quelli di Castelnuovo di Conza, Conza della Campania, Laviano, Lioni, Sant'Angelo dei Lombardi, Senerchia, Calabritto e Santomenna.

La prima stima dei danni del terremoto, che venne fatta nel 1981 dall'ufficio dello Stato (organo speciale atto a coordinare le operazioni di calcolo dei danni per conto della presidenza del consiglio), parlava di circa 8mila miliardi di lire. La cifra è cresciuta col passare degli anni, fino a superare quota 60mila miliardi di lire nel 2000 e 32 miliardi di euro nel 2008. Attualizzandola al 2010, la stima supererebbe i 66 miliardi di euro. Sulla vicenda del sisma c’è stato un lungo iter istituzionale e giudiziario, che non ha permesso ai terremotati di ricevere, in tutti questi anni, gli aiuti necessari. La legge 7 aprile 1989, numero 128, istituì la Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione degli interventi per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti dai terremoti del novembre 1980 della Campania e della Basilicata, alla cui presidenza venne eletto Oscar Luigi Scalfaro.

Si trattava di un organismo bicamerale con gli stessi poteri della magistratura, costituito da venti deputati e altrettanti senatori, con il compito di accertare quanto realmente lo Stato avesse speso, sino a quel momento, per la ricostruzione delle aree terremotate. Nella relazione conclusiva presentata in Parlamento il 5 febbraio 1991, la somma totale dei fondi stanziati dal Governo italiano aveva raggiunto la cifra di 50.620 miliardi di lire, così suddivisi: 4.684 per affrontare i giorni dell'emergenza; 18mila per la ricostruzione dell'edilizia privata e pubblica; 2.043 per gli interventi di competenza regionale; 8mila per la ricostruzione degli stabilimenti produttivi e per lo sviluppo industriale; 15mila per il programma abitativo del Comune di Napoli, e le relative infrastrutture; 2.500 per le attività delle amministrazioni dello Stato; 393 residui passivi.

Le inchieste giudiziarie, invece, hanno riguardato, in particolare, un filone di “Mani pulite”, denominato “Mani sul terremoto”, di cui ha scritto il periodico Panorama nel 1992. Nel marzo del 1987 alcuni giornali, tra cui L'Unità e L'Espresso, rivelarono che le fortune della Banca Popolare dell'Irpinia erano strettamente legate ai fondi per la ricostruzione dopo il terremoto in Irpinia del 1980. Seguì un lungo processo che si concluse nell'ottobre del 1988 con la sentenza: “Secondo i giudici del tribunale romano chiamato a giudicare sulla controversia, era giusto scrivere che i fondi del terremoto transitavano nella banca di Avellino e che la Popolare è una banca della Democrazia cristiana.

Sul coinvolgimento di politici e di vari amministratori si sono prodotte numerose denunce e promosse alcune inchieste che hanno portato a diversi arresti.

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