Dissertazioni sulla questione del «no» al terzo mandato per i governatori. Che una permanenza prolungata in un incarico come il presidente di Regione che ti assegna grandi poteri di spesa possa introdurre rischi di notabilato, ci sta. È un ragionamento che fila: si creano, infatti, feudi di potere che sono però - dato non trascurabile - sottoposti all'esame del voto dei cittadini in un'elezione diretta. Se non sei capace non vieni rieletto. È la base della democrazia.
Ecco perché una scelta che nasce da un'esigenza legittima e comprensibile, si porta dietro una serie di dubbi altrettanto legittimi. Il primo - che rappresenta l'ultima trincea leghista - riguarda l'esito dell'impugnazione del governo alla Consulta della decisione della Regione Campania sul «sì» al terzo mandato che, appunto, il Carroccio non ha condiviso. È proprio sicuro che la Corte Costituzionale darà ragione a Palazzo Chigi? «La legge - osserva il governatore del Friuli, il leghista Massimiliano Fedriga - delega ai consigli regionali la scelta delle leggi elettorali da adottare. Ma se sono i consigli regionali a decidere il governo non può imporre un diktat. Tanto più se riserva dei trattamenti diversi alle Regioni: non ha impugnato la legge della Regione Piemonte che prevede il terzo mandato - approvata con Meloni a Palazzo Chigi - mentre quella della Campania sì». Da qui il tentativo della premier di eleggere in tempi brevi i quattro giudici mancanti per intervenire sugli equilibri della Corte.
Ma a parte ciò ci sono altre questioni che fanno sorgere dubbi sull'opportunità del «no» al terzo mandato in questo momento. Uno dei grandi problemi delle ultime elezioni è la non partecipazione al voto: escludere per legge dall'elezione personaggi che hanno guadagnato grande popolarità e consenso come governatori - da Zaia a De Luca, a Fedriga - non è certo una decisione che ridurrà l'astensione. Tutt'altro. Se poi si aggiunge la critica che viene rivolta da più parti all'attuale legge elettorale delle politiche, cioè che non permette all'elettore di scegliere il proprio rappresentante che è una prerogativa riservata ai partiti, ebbene impedire la candidatura di un governatore che magari ha meritato la rielezione, significa ridurre anche nel voto amministrativo la libertà di scelta del cittadino. Per non parlare di un altro tema che caratterizza il dibattito politico: l'assenza di una classe dirigente, a destra come a sinistra. Questione che introduce un altro dubbio: se a livello amministrativo si è formata una classe dirigente già sperimentata sul campo che si è guadagnata la fiducia del corpo elettorale, che senso ha privarsene? È un'opzione che ha tutta l'aria di essere il solito «testa coda» di stampo populista. L'ultimo argomento usato dai fan del «no» riguarda l'introduzione del tetto di due mandati per il capo del governo anche nella riforma del premierato. Intanto parliamo di una riforma che non si sa quando sarà approvata, ma a parte ciò non è detto che questo limite sia una buona cosa. I cicli politici dovrebbero essere determinati dal consenso, non da altro. Il paragone con gli Stati Uniti, che è una Federazione di Stati e ha un presidente dai poteri amplissimi, non calza. Semmai sarebbe più opportuno guardare all'Europa: e a conti fatti con questa norma noi impediamo che ci sia una Merkel italiana (è stata al governo 16 anni) o un Blair italiano (vinse tre elezioni). Insomma, non sembra una grande trovata. Tanto più che ora abbiamo un capo dello Stato, non eletto direttamente, che può durare 14 anni cioè il tempo di un papato.
Infine ci sono le considerazioni politiche. Fedriga promette che la Lega continuerà a fare la sua battaglia. Di certo il «no» a lui e a Zaia destabilizzerà non poco il Carroccio. «Io - ha spiegato nelle scorse settimane Matteo Salvini a Luca Zaia - ci ho provato una, due, tre volte a convincere la Meloni, ma il terzo mandato non lo vuole nessuno». La risposta del Doge è stata gelida: «Caro Matteo, io ti appoggio, ma se perdiamo il Veneto poi perdiamo la Lega».
Per cui un interrogativo è quantomai opportuno: conviene alla Meloni in una fase positiva come l'attuale destabilizzare e mortificare la Lega? È una domanda lecita perché a più di due anni dalle elezioni politiche si può prendere il Veneto ma poi perdere l'Italia. «Spesso - sospira Fedriga - si fanno le leggi elettorali sulla base della fotografia del consenso del momento, che magari poi cambia con il rischio che si diventi schiavi e vittime di quelle scelte».Augusto Minzolini
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