Rispetto Enrico Letta che considero persona seria, non comprendo però, magari per limiti miei, la ratio alla base della sua ultima uscita, cioè la tesi per cui senza un accordo largo, che comprenda l'attuale maggioranza sul nome del capo dello Stato, verrebbe meno la fiducia del Pd al governo. Me lo aspettavo, era il senso di un mio articolo di qualche giorno fa, ma non per questo riesco a capire come possa Letta votare la sfiducia a Draghi in Parlamento qualora per il Quirinale fossero eletti Tizio o Caio, cioè due candidati che eventualmente non stessero bene al Pd. Questo davvero mi è oscuro. Anche perché sarebbe un atto - come dice lui stesso - che porterebbe il Paese alle urne in un momento delicatissimo. E il doppio salto mortale di questa strana logica diventa addirittura triplo se si considera la natura emergenziale di questo esecutivo, che non si basa su un'intesa di maggioranza ma sulle «cose da fare» proposte dall'attuale premier per far fronte alla pandemia e alle conseguenze che ha provocato nella nostra economia.
Già, una crisi legata ad una mancata intesa tra Letta, Salvini, Berlusconi, Conte e Renzi (per fare solo alcuni nomi) sulla scelta del nuovo capo dello Stato sarebbe una decisione davvero ardua da spiegare agli italiani. Anche perché il capo dello Stato non è il garante della maggioranza di governo, ma del Parlamento. Quindi collegare la sua elezione alla maggioranza di governo è addirittura un errore sul piano formale.
Ecco perché, a ben guardare, il ragionamento del segretario del Pd più che logico è strumentale. Nasconde il desiderio di accampare una sorta di diritto di veto, in una fase in cui per la prima volta la sinistra arriva debole all'appuntamento del Quirinale. Ci si nasconde dietro il paravento dell'unità della maggioranza, per dire un «no» che è tutto da motivare. Faccio un esempio concreto: non è che il leader di Forza Italia è «presentabile» per tenere in piedi il governo Draghi e «impresentabile» il Quirinale. A meno che non si voglia strizzare l'occhio a quel giornale, Il Fiele Quotidiano, che ha aperto una campagna contro la candidatura del Cav. «Modi aggressivi e volgari - per usare le parole di Luciano Violante nei confronti del giornale di Travaglio - perché tutti i cittadini che hanno più di cinquanta anni possono candidarsi. Spetta ai parlamentari decidere chi votare».
In sintesi: può essere pure auspicabile l'elezione di un presidente a larga maggioranza, ma se ciò si rivelasse impossibile, se si arrivasse ad un'elezione di misura com'è successo nella maggior parte dei casi dal 1948 ad oggi, la scelta peggiore per il Pd sarebbe un ricatto sulla scelta del nome del nuovo capo dello Stato accompagnato dalla minaccia della crisi di governo e delle urne.
Anche perché chi si prendesse una tale responsabilità dopo aver predicato per mesi e mesi l'emergenza, difficilmente sarebbe premiato dagli elettori. Ragione per cui l'avvertimento di Letta, con tutto il rispetto, richiama alla mente una celeberrima espressione di Mao Tse-tung: tigri di carta.
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