Al temine della sua ennesima traversata oceanica, tranquilla e sicura, come lo erano state le altre trentaquattro che l’avevano preceduta, il dirigibile Hindenburg, gigante dei cieli argenteo sul quale spiccavano, nella coda, due enormi bandiere rosse fregiate dalla svastica, sta per approcciare la torre d’attracco della stazione aeronavale di Lakehurst, negli Stati Uniti. Era il 6 maggio del 1937.
Decollato da Francoforte tre giorni prima, l'Hindenburg portava con sé 36 passeggeri che dalla vecchia Europa si apprestavano a sbarcare per raggiungere ognuno le coincidenze con aerei, navi e treni che li avrebbero condotti verso le rispettive destinazioni nel Nuovo Continente. Il personale dell’American Airlines era affaccendando nelle manovre d'attracco, quando d’improvviso le fiamme iniziarono ad avvolgere l’intera mastodontica struttura ovale, ricoperta di cotone e riempita d’idrogeno. Bastò appena un minuto per lasciare sul prato ancora umido di brina lo scheletro d’alluminio del gigantesco Zeppelin, che s’era tramutato d’un soffio in una palla di fuoco capace d'illuminare perfino il giorno. Tra i rottami incandescenti, giacevano trentacinque sfortunati. Vittime inattese di quel prodigio della tecnologia d'inizio secolo. Di quel che allora veniva considerato “il mezzo di trasporto più sicuro del mondo”.
Il Titano dei cieli
Lungo ben 246 metri - appena una ventina in meno del Titanic - il “Gigante dei Cieli” era considerato, oltre che “il più grande oggetto volante mai costruito”, anche il mezzo di trasporto più sicuro sul quale viaggiare. Intitolato al presidente tedesco, Paul von Hindenburg, l’ultimo della Repubblica di Weimar prima che l’ascesa irrefrenabile del Partito Nazionalsocialista portasse al potere Adolf Hitler, era il fiore all’occhiello della flotta di aeronavi rigide della Deutsche Zeppelin Reederei GmbH, compagnia fondata 1935 dal gerarca nazista Hermann Göring, delfino del Führer, asso da caccia della grande guerra e futuro bisbetico testardo comandante della forza aerea del Terzo Reich.
Spinto in volo da quattro motori a elica da 900 cavalli ciascuno - che gli consentivano una velocità massima di 135 chilometri all’ora - poteva raggiungere una quota di tangenza di 5.500 metri, grazie alle sue celle riempite di idrogeno, gas più leggero dell’aria, ma assai più pericoloso dell’elio: la sostanza aeriforme originariamente scelta per gli Zeppelin, ma irreperibile a causa di un embargo militare imposto dagli Stati Uniti. Benché esso fosse altamente infiammabile, rappresentava, almeno fino a quel momento, un falso problema. Poiché il carico d’idrogeno consentiva un ingombro di spazio minore, a vantaggio di una spinta maggiore. Consentendo quindi l’alloggiamento a bordo di un carico maggiore, e traducendosi in “più passeggeri”. L’Hindenburg così poteva portare fino a 72 passeggeri (50 nei voli transatlantici), alloggiati nelle cabine ricavate nella parte inferiore della sezione mediana. Mentre la gondola prua, e altre diverse gondole motori, trovavano il posto per i 61 membri d’equipaggio.
I venti del ritardo e lo strabilio di New York
Viaggiare su uno Zeppelin era come viaggiare su di una grande nuvola d’argento scintillante, sospinta da piccole e silenziose eliche nella placida troposfera. Riveriti da camerieri in livrea che servivano per l’aperitivo cocktail e cibi alla moda. Coccolati e rassicurati dall’equipaggio e dagli ufficiali in alta uniforme: proprio come avveniva nei grandi piroscafi, però nel cielo.
Al comando dell’Hindenburg era il capitano Max Pruss, un prussiano dagli occhi piccoli che aveva servito nella Marina del Kaiser durante la Grande Guerra proprio sugli Zeppelin, e che aveva maturato una conoscenza profonda di quel pionieristico mezzo volante prestato al servizio civile. Fu lui a decidere, a causa del forte vento e della presenza di temporali sparsi nell’aerea intorno a New York, di ritardare l'arrivo dell'Hindenburg nel New Jersey, lasciando che la sua aeronave sorvolasse i cieli di Manhattan per il puro stupore dei newyorkesi. Che, sebbene avessero già osservato nel ’33 il loro dirigibile Goodyear Macon, rimasero comunque sbalorditi dal gigante argentato che sorvolano i loro altissimi grattacieli. Portando la "svastica sul Sole”, come avrebbe poi scritto Philip K. Dick nel suo distopico romanzo.
Un istante e poi le fiamme della "catastrofe"
“È andato in fiamme! È andato in fiamme e sta precipitando, si sta schiantando! Attenzione! Attenzione, voi! Toglietevi di mezzo! Toglietevi di mezzo! Riprendi, Charlie! Riprendi questo, Charlie! Il fuoco e si sta schiantando! Si schianta, è spaventoso! O mio Dio, toglietevi, ve ne prego! Brucia e divampa, e il… e sta precipitando sopra al pilone d’ormeggio e tutti si rendono conto che è terribile, questa è una delle peggiori catastrofi del mondo..”, furono queste parole di Herbert Morrison, che in lacrime raccontava un disastro che sarebbe rimasto per sempre impresse nella memoria del mondo, grazie anche alla copertura di cinegiornali e fotografi che attendevano l’arrivo dell’Hindenburg.
Sebbene la causa del disastro non sia mai stata del tutto chiarita, la tesi più avvalora fu quella che durante la fase di attracco una scintilla - si sospetta provocata dall’accumulo di elettricità statica - avrebbe dato luogo ad un piccolo incendio sul particolare rivestimento di cotone trattato, che in un batter d’occhio avrebbe innescato le celle d’idrogeno, propagando le fiamme istantaneamente in tutto il dirigibile. Delle 97 persone a bordo, ne muoiono 35, la maggior parte nel momento nell’incidente, altre, una ridotta parte, nelle ore seguenti a causa delle gravissime ustioni riportate. Delle vittime 13 erano passeggeri e 22 erano membri dell’equipaggio. La maggior parte dei passeggeri e dell’equipaggio riuscirono a mettersi in salvo saltando giù dal dirigibile che bruciando perdeva quota e concedeva un “salto” salvifico da un altezza sostenibile - tra i sei e i quattro metri. Singolare tra i superstiti il caso del capoelettricista Philipp Lenz, che sopravvisse, pur riportando gravi ustioni, poiché rimasto bloccato nella centrale elettrica che era pressurizzata e isolata da un rivestimento di alluminio. Lo stesso capitano Pruss, incastrato nella gondola di comando che essendo a prua raggiunse più tardi la terra, rimase gravemente ustionato e sfigurato. Seppur vivo.
Il sospetto sabotaggio e la fine dell’era degli Zeppelin
Come detto, una delle cause che avrebbe potuto provocare l’incendio e la conseguente distruzione dell’Hindenburg sarebbe da ricondursi a una scintilla sprigionata da accumulo di elettricità statica. Una seconda ipotesi invece si fondò su una manovra "azzardata" da parte del comandate.
Il Dipartimento del Commercio Usa, al termine della sua inchiesta, stabilì che le fiamme erano senza dubbio divampate a causa del contatto tra idrogeno libero con l'aria. Ma quale fosse il motivo della presenza di questo “idrogeno libero” non è mai stata scoperta. Forse poteva essersi creato uno strappo nel rivestimento del dirigibile, e la scintilla accidentale - forse provocata dallo sfregamento di un cavo libero della torre di attracco - avrebbe pensato al resto. Una combinazione “letale” di fatalità, elettricità statica, e idrogeno libero fuggito dallo Zeppelin, che pure era ricoperto di tela di cotone rivestita di un particolare “composto di ossido di ferro e acetato butirrato di cellulosa, miscelati con polvere d’alluminio" per garantirne l’impermeabilità. Ma non eccellenti a livello ignifugo.
Per altri invece, si sarebbe trattato di sabotaggio. Un'azione determinata per infliggere un duro colpo mediatico al “signor Hitler” e ai dirigibili che erano considerati un simbolo della potenza nazista. Questo almeno secondo la dietrologia partorita dalla mente di Hugo Eckner, fervente nazionalsocialista e presidente dell’azienda Zeppelin. Un’ipotesi che rimane tutt’ora completamente infondata.
Dal momento che il regime nazista si era definito scettico circa l’impiego della tecnologia Zeppelin - si ricordi usati come prima piattaforma da bombardamento della storia bellica - per scopi civili, la rovinosa caduta dell’Hindenburg, quale che fosse la misteriosa causa di quel disastro, segnò profondamente il futuro dei dirigibili; considerati negli anni ’30 come una valida alternativa ai piroscafi e agli aeroplani, per le tratte transoceaniche. Oltre a rappresentare una piccola sconfitta per la fiera Germania Nazista, che già pianificava le sue oscure trame per conquistare il mondo e imporre in ogni latitudine del globo la svastica.
Tre anni dopo il disastro dell’Hindenburg, gli hangar della Zeppelin di Francoforte saranno rasi al suolo, decretando una volta per tutte la fine dei viaggi in aeronave. Il mistero su quali siano state le vere cause dell’incidente, permane. E probabilmente, non verrà mai svelato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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