Tutti i danni dei social oltre ai dati rubati

Tutti i danni dei social oltre ai dati rubati

Anch'io ho una pagina Facebook, un po' per cazzeggio e un po' per obbligo. Ci metto dentro le foto di mia mamma giovane insieme a Bearzot, le vacanze in Liguria con gli amici di trent'anni fa, le partite di calcio con la maglia del Celtic, qualche stupidaggine assortita. Ho una fila lunga così di persone che, non si sa perché, mi chiedono l'amicizia persino dalla Florida, ma accetto solo chi conosco, non per diffidenza ma perché del loro album di famiglia o dei loro pareri sull'universo creato mi importa meno che del figlio della Ferragni dato che non ho la minima idea di chi siano, sia loro che Fedez. Se una qualsiasi Cambridge Analytica dovesse derubarmi dei miei trascurabili dati saprebbe, dico a casaccio, che tifo per il Milan, ho una passione per il doppiaggio e schifo il sushi, e fa niente se lo vengono a sapere alla Casa Bianca. Nemmeno con un sofisticato algoritmo riuscirebbero a farmi tifare Juventus, tantomeno in una finale di Champions, o a costringermi a ingurgitare sashimi. Per cui mi viene un po' da ridere a sentire parlare di violazione della privacy, elezioni truccate e democrazia in pericolo. Come scrive un mio amico, ovviamente su Facebook, «se veramente ha rubato dati per influenzare le elezioni americane, presidente degli Stati Uniti dovrebbe essere un gatto».

Perché magari Facebook fosse questo. Facebook è molto peggio di questo. Venduto come il salotto globale dove l'umanità evoluta, senza più confini, avrebbe rivoluzionato il pianeta scambiandosi idee e opinioni è diventata invece la sputacchiera del mondo, la madre di tutti i pregiudizi, il processo del lunedì in servizio permanente effettivo. Invece di Roy Batty, l'algido replicante di Blade Runner, si è materializzato, flatulente e sguaiato, Pierino contro tutti. Doveva avvicinare le genti invece le isola, il primo che passa, se non gli piace un tuo commento, ti manda affanculo prima ancora di presentarsi, se vai a vedere il suo profilo invece dell'Er Monnezza che ti aspetti ci trovi la mamma che posta glicini e poesie di Kahlil Gibran o prof in pensione che citano Hawking e Anna Magnani. Facebook tira fuori la bestia che è in te come nell'Esorcista. Basta salire su una qualsiasi metropolitana per assistere a scene tratte da l'Invasione degli ultracorpi. Prima la gente leggeva libri, giornali oppure niente: pensava. Adesso non pensa: commenta cose che non capisce, sentenzia su cose che non sa, sermoneggia su argomenti che non ha mai sentito, mette like, come diceva con un latinismo il professor Scoglio, ad minchiam. Tutti con gli occhi dentro la scatoletta persino quando parlano con la fidanzata. Facebook non è un attentato alla democrazia ma un'emergenza umanitaria e sanitaria. Ti distrugge fisiologicamente il cervello: le scansioni cerebrali di chi fa uso abituale di social, certifica un esperimento, rivelano danni fisiologici nelle stesse aree colpite nel cervello di chi si droga. Senti vibrare il cellulare anche quando è spento, fai più fatica a fare due cose insieme come Jimmy Carter di cui si diceva «non è capace di camminare e di masticare un chewing gum nello stesso tempo». Facebook è un micidiale moltiplicatore di ignoranza, l'untore di tutte le bufale del mondo, un clonatore seriale di Napalm56. Dicono ci sia il fuggi fuggi dal social. Non credeteci. Facebook è l'unico posto al mondo che fa sentire genio un somaro, un intellettuale chi ha letto al massimo le istruzioni per la lavatrice, un influencer chi scrive scuola con la «q». Solo qui trovi ciabattini esperti in geopolitica internazionale, maniscalchi che insegnano medicina genomica, arrotini che discettano di macro economia. Gente che ha la soluzione giusta a tutti i problemi del mondo tranne che ai propri. Che ai like appendono l'identità. Chamath Palihapitiya, ex vice presidente di Facebook l'aveva confessato senza scatenare crolli di Borsa: «Mi sento in colpa perché abbiamo creato un sistema che sta distruggendo la società».

Dice che ai suoi figli «non è permesso usare quella merda». E Sean Parker, che l'ha fondata, ha ammesso terrorizzato «Dio solo sa cosa farà al cervello dei nostri figli». Non si sa. Ma forse è meglio che tolgo la foto di mia mamma.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica