Scena del crimine

Uccisa e murata: quel killer nascosto nei doni di Antonella

Antonella Di Veroli fu uccisa nell'aprile del 1994. Il killer ripose il cadavere nell'armadio e sigillò l'anta con il mastice. A 27 anni dal delitto, il caso è ancora aperto: c'è un terzo uomo coinvolto?

Uccisa e murata nell'armadio: quel killer nascosto nei doni di Antonella Di Veroli

Ci sono delitti irrisolti, scontornati come una fotografia ingiallita dal tempo. Gli americani li chiamano cold case, omicidi a "pista fredda", casi sospesi in un limbo di ipotesi e incertezze. Come quello di Antonella Di Veroli, la commercialista uccisa a Roma nell'aprile del 1994 da un ignoto killer. Un epilogo tragico per la professionista 47enne, soffocata con un sacchetto di plastica e poi murata nell'armadio della sua camera da letto. Ventisette anni dopo, nessuno ha ancora pagato dazio per la truce esecuzione.

"L'assassino è tra i protagonisti dell'inchiesta": ne è certo il giornalista e scrittore Mauro Valentini, che ha spulciato le carte del fascicolo per omicidio, ricomponendo il puzzle dell'intricata vicenda all'interno del libro-inchiesta "Quaranta passi". "La vittima aveva un rapporto confidenziale col suo assassino ma il movente non è quello passionale", spiega alla redazione de ilGiornale.it la criminologa Imma Giuliani. Ma proviamo a riavvolgere il nastro di questa vicenda tanto amara quanto ingarbugliata.

Antonella Di Veroli
Antonella Di Veroli (photo credit Mauro Valentini)

Chi era Antonella Di Veroli

Nel 1994 Antonella Di Veroli è una donna single di 47 anni. Lavora come commercialista: disbriga pratiche per una cerchia ristretta di clienti, quanto basta a garantirle un tenore di vita modesto. È una persona perbene, riservata e poco incline alla vita mondana. Non ha molti amici ma un ex fidanzato, Umberto Nardilocchi, è diventato il suo più caro confidente dopo la fine della relazione. Si sentono spesso al telefono e, di tanto in tanto, escono a cena. Le giornate di Antonella si dividono tra casa e ufficio, è un tipo metodico e abitudinario.

Di recente, ha acquistato un appartamento al civico 8 di via Oliva, nel quartiere Talenti, a due passi da villa Torlonia. Una vecchia abitazione che la 47enne ha arredato con cura apportando una modifica all'impostazione originaria: un armadio a muro in camera da letto. Lo stesso in cui sarà rinvenuta cadavere nella tarda mattinata del 12 aprile 1994.

Una domenica di aprile

Per poter comprendere cosa sia accaduto ad Antonella bisogna ripercorrerne gli ultimi istanti di vita. È domenica 10 aprile 1994, la 47enne si reca a pranzo da un'amica. Le due trascorrono insieme l'intera giornata fino al tardo pomeriggio, tanto che i genitori della ragazza la invitano a fermarsi anche per cena. Antonella declina l'offerta, dice di voler rincasare per mettersi comoda e sbrigare alcune faccende. L'indomani è un lunedì e dovrà tornare in ufficio.

Dopo essersi accomiatata dall'amica, tira dritta verso casa. Affida le chiavi dell'auto al custode del garage, come fa di solito, affinché posteggi la vettura. Rientrata nell'appartamento ordina i documenti sulla scrivania e poi, attorno alle 22.45, telefona alla madre per un saluto. Si strucca e mette il pigiama, probabilmente intende coricarsi. Ma qualcuno bussa alla sua porta.

Via Domenico Oliva
Via Domenico Oliva, Roma (photo credit Mauro Valentini)

La scomparsa

Il mattino successivo, nessuno ha notizie di Antonella. Neanche Ninive, la vicina del piano rialzato, l'ha vista uscire per andare al lavoro. Sua madre e Umberto le lasciano dei messaggi in segreteria telefonica chiedendole di "farsi viva" poiché sono in apprensione. Nel primo pomeriggio di lunedì 11 aprile Carla, la sorella di Antonella, decide di andare a controllare di persona assieme al marito. Suona con insistenza al campanello dell'appartamento ma non riceve alcuna risposta. A quel punto Ninive si propone di aprir loro la porta d'ingresso poiché è provvista di un mazzo di chiavi passepartout. Poco dopo sopraggiungono anche Umberto Nardilocchi, con il figlio e un amico poliziotto.

Una volta dentro l'abitazione, Carla non nota nessuna anomalia: i vestiti sono ripiegati accanto al letto e sul tavolo del soggiorno c'è la solita pila di scartoffie. È tutto più o meno come al solito. Ma Antonella in casa non c'è: dov'è finita? A tarda sera, Nardilocchi ritorna in quell'appartamento ma dell'amica non vi è traccia. È martedì 12 aprile, da circa 48 ore nessuno ha più notizie della 47enne. Carla con il marito, Nardilocchi e l'amico poliziotto, decidono di ispezionare a fondo la casa: tutti indossano un paio di guanti in lattice. Rovistano invano nei cassetti e nelle varie stanze finché notano che un'anta dell'armadio in camera da letto è sigillata con del mastice. Dopo averla forzata, scorgono sul pianale superiore un cuscino insanguinato sormontato da un mucchio di vestiti. Lì sotto giace il corpo senza vita di Antonella.

La scoperta del cadavere

L'orrore. Antonella è rannicchiata in posizione fetale, con le braccia incrociate sul petto e un sacchetto di plastica attorno alla testa, sul ripiano dell'armadio. Qualcuno, per certo un killer spietato, l'ha ammazzata con lucida freddezza. "È stata uccisa barbaramente – spiega alla nostra redazione il giornalista e scrittore Mauro Valentini – Dapprima tramortita con due colpi di pistola alla fronte, poi soffocata con un sacchetto di plastica e infilata nell'armadio". L'assassino ha esploso 2 proiettili con una pistola compatta, verosimilmente una calibro 22 (l'arma del delitto non è mai stata ritrovata) ma i colpi non hanno raggiunto la teca cranica.

L'autopsia chiarirà che la 47enne è morta per soffocamento. Ma perché il killer ha occultato il cadavere nell'armadio? "Era l'unico posto in cui poteva nasconderlo - chiarisce a ilGiornale.it la criminologa Imma Giuliani - Se lo avesse trascinato all'esterno dell'abitazione, per certo non sarebbe passato inosservato. Così facendo l'assassino ha ritardato il ritrovamento del cadavere".

Cuscino Antonella Di Veroli
I due colpi di pistola nel cuscino di Antonella (photo credi Mauro Valentini)

Le indagini

Nessuno ha visto né sentito nulla. Ninive, la vicina di casa, dice di avere udito dei passi attorno alle 23 della domenica sera ma non il boato degli spari. Anche per gli inquirenti è un rebus. L'aggressore non ha lasciato tracce evidenti sulla scena del crimine. C'è solo un bossolo sotto al letto e il tubetto semi utilizzato di mastice per parquet sul comodino. Non risultano segni di effrazione alle finestre né è stato trafugato qualcosa dall'appartamento. Ma allora chi può aver ucciso Antonella?

Le indagini si concentrano su due uomini che orbitano nella vita della commercialista. Il primo è Umberto Nardilocchi, l'altro è Vittorio Biffani, un fotografo sposato con cui la vittima ha avuto una relazione clandestina. A tre giorni dal delitto, i due sospettati vengono interrogati e sottoposti alla prova dello Stub. Il test dà esito positivo rilevando tracce di polvere da sparo sulle mani di entrambi. Ma se Nardilocchi ha un alibi di ferro - frequenta un poligono di tiro - Biffani è meno convincente. Del resto, ragiona la magistratura, gli estremi per ipotizzare un delitto passionale ci sono tutti. La soluzione del giallo sembra a portata di mano.

Tubetto di mastice
Il tubetto di mastice usato per sigillare l'armadio (photo credit Mauro Valentini)

Il processo a Biffani e il colpo di scena

Alla fine dell'istruttoria, Nardilocchi esce di scena. Le attenzioni degli inquirenti sono rivolte al fotografo. A inasprire i sospetti su Biffani c'è una vecchia storia di soldi, un debito da 42 milioni di lire che ha contratto con Antonella. Il prestito è rimasto insoluto nonostante le richieste pressanti (o ritenute tali) della 47enne nei confronti dell'ex di provvedere al saldo. E poi ci finisce di mezzo anche la moglie di Biffani che, dopo aver scoperto il tradimento del marito, ha tempestato Antonella di telefonate. Insomma, agli occhi della magistratura tutto quadra alla perfezione. Se non fosse che manca la prova regina o, in ogni caso, un elemento comprovante la presunta colpevolezza dell'indagato. La svolta nel procedimento a carico di Biffani arriva col processo d'appello, nel 1996. Più che svolta è un vero e proprio colpo di scena: il Dna dello Stub prelevato durante le indagini non appartiene al fotografo. A quel punto l'assoluzione è inevitabile. Ma resta un atroce dubbio: di chi è quel Dna?

Il movente del delitto

Dunque la pista sentimentale non porta da nessuna parte. Allora, viene da domandarsi, il movente del delitto è economico? Forse una ritorsione? Dal passato di Antonella, per quanto qualcuno abbia provato a gettare ombre sulla donna con ipotesi strampalate e illazioni di cattivo gusto per il fatto che avesse frequentato uomini sposati, non emergono anomalie. Per certo era una donna single e sicuramente in cerca di stabilità affettiva, consultava delle cartomanti ma non fu mai coinvolta in qualche losco affare. Quindi chi l'ha uccisa e perché?

"Antonella aveva un rapporto confidenziale con quello che poi si è rivelato il suo assassino - spiega la dottoressa Giuliani - Lo si evince dal fatto che lo abbia accolto a tarda sera in pigiama e struccata. Escludo si tratti di un amante o che avesse programmato un incontro sentimentale per quella domenica". Potrebbe essere una donna? "No, non credo - continua la criminologa - Così come ritengo inverosimile il movente passionale. Sembrerebbe si sia trattato di un delitto premeditato e comunque l'assassino, per quanto non fosse dotato di 'un'arma da killer', aveva una certa dimestichezza con la pistola".

C'è un terzo uomo?

A 25 anni dal delitto, nel 2019, la procura ha deciso di rimettere mano al fascicolo per omicidio nel tentativo di stabilire la verità. Ci sarebbe un'impronta impressa sull'anta di quel maledetto armadio che potrebbe riaprire le indagini. E il condizionale è d'obbligo in questo caso, dal momento che mancano all'appello dei reperti fondamentali per la risoluzione del giallo. Ad esempio dov'è finito il pianale su cui giaceva il cadavere di Antonella? E il sacchetto con cui il killer l'ha soffocata? Possibile non ci siano tracce dell'assassino sul tubetto di stucco usato per sigillare l'anta?

Domande che restano insolute e infittiscono di dubbi questa macabra vicenda. C'è poi un ultimo dettaglio. Nel febbraio del 1994, due mesi prima della tragedia, Antonella aveva acquistato un orologio e una cintura da uomo in una pelletteria di Roma. Per chi erano quei regali? La 47enne aveva fatto incidere all'interno degli accessori l'iniziale di un nome: "E". Di certo non si trattava né di Umberto Nardilocchi né di Vittorio Biffani.

Dunque c'è un terzo uomo? Forse quel "cane sciolto" che la vittima menziona nelle ultime pagine del suo diario? Mauro Valentini è pronto a scommetterci: "L'assassino è nelle carte dell'inchiesta".

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