Magari ha ragione Mario Draghi, che all'ultimo vertice continentale ha confidato di non aver mai visto un'Europa così unita come quella che si è schierata dalla parte dell'Ucraina e ha deciso con una sola voce le sanzioni alla Russia. Solo che quella fotografia di gruppo tra gli stucchi e gli specchi dorati della reggia di Versailles, poco adatti ad accompagnare lo scenario tragico del momento, è andata subito in contraddizione con i discorsi delle istituzioni europee. Siano esse la Bce, l'eurogruppo o, sul piano politico, il dialogo tra i ministri finanziari dei Paesi membri. Mentre divampa una guerra dalle conseguenze imprevedibili, infatti, sono tornati di moda i moniti, più o meno espliciti, a tagliare il debito. Parole giuste in tempo di pace ma che sembrano una mezza presa in giro in tempo di guerra. È come se i burocrati di Bruxelles vivessero su un altro pianeta.
Il paradosso di queste sollecitazioni è ancor più grave perché non tiene conto del momento: non bisogna essere dei geni per comprendere che le sanzioni che i 27 Paesi hanno voluto come un sol uomo contro la Russia avranno, anzi già hanno, un ritorno negativo sui bilanci dei singoli Stati. È il costo della guerra, di qualsiasi guerra. E far finta di niente, mettendo la testa sotto la sabbia come gli struzzi e, magari accompagnando i richiami a ridurre il debito con gli appelli a decidere sanzioni sempre più dure contro Putin, è un esercizio di quell'ipocrisia che in passato è costata molto alla causa dell'europeismo.
Con questa mentalità, anche le buone intenzioni finiscono nel mare della confusione. Per cui mentre il ministro delle Finanze francese, Le Maire, parla di sostegno alle imprese davanti al caro carburante e di «sconti sui prezzi alla pompa» per le famiglie, il suo collega tedesco, Lindner, esclude «tagli alle tasse, come l'Iva, per non dare l'impressione di un sussidio per i combustibili fossili». Siamo alle prese con le conseguenze di una guerra economica e si parla di «impressioni»: viene da ridere. Con questo background è improbabile che si arrivi a decidere un tetto al prezzo del carburante a Bruxelles.
Purtroppo questa è l'Europa con le sue contraddizioni: l'Unione ha dato una grande prova di sé per attutire gli effetti negativi del Covid sull'economia; ha dimostrato uno spirito di solidarietà tra Paesi facendosi carico dei problemi di quelli più colpiti dalla pandemia; ma nell'emergenza successiva, cioè sulla guerra, rischia di tornare indietro. Fa la guerra a metà: è unita nel mettere sanzioni, ma divisa su un aspetto altrettanto importante come quello di far fronte comune contro gli effetti negativi delle armi che usa contro la Russia.
Eppure sono proprio i conflitti a segnare i cambi d'epoca. La Comunità economica europea nacque sulle ceneri della Seconda guerra mondiale. Per mettere insieme le potenze economiche del vecchio continente, ma anche per evitare che scoppiassero nuovi conflitti.
La crisi Ucraina nella sua violenza fra tanti aspetti negativi potrebbe essere un'ulteriore spinta ad una maggiore integrazione economica, politica, militare. Ma se si perde l'occasione, se per le paure e gli egoismi di questo o quel Paese il processo non va avanti, c'è il rischio che ratifichi la sindrome dell'Europa eterna incompiuta.
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