Cronache

Utero in affitto a Kiev, coppia denunciata per alterazione stato civile. Poi l'assoluzione

I due, nella provincia di Pisa, erano accusati di alterazione dello stato civile. La donna aveva omesso di dire che non era lei la madre biologica

Utero in affitto a Kiev, coppia denunciata per alterazione stato civile. Poi l'assoluzione

Una coppia della provincia di Pisa, senza figli, va in Ucraina e prende un "utero in affitto". Tornata in Italia si presenta all'anagrafe e registra il bambino, omettendo, però, che la madre naturale era un'altra. La verità però viene fuori e i due genitori vengono denunciati per "alterazione dello stato civile". Al processo, come riporta Il Tirreno, arriva l'assoluzione. Soddisfatto l'avvocato della coppia, Ezio Menzione: "La sentenza non solo accerta che non c’è reato, ma si allinea con la migliore giurisprudenza italiana. Auspico che questa sentenza possa preludere a una diversa codificazionee che diventi argomento di discussione anche in sede legislativa".

La vicenda risale al 2012. La donna non può avere figli ma il forte desiderio spinge lei e il marito ad andare a Kiev, rivolgendosi a una clinica specializzata per la gravidanza surrogata. Costo previsto, tra i 30 e i 50mila euro. La coppia "affitta" l'utero di un'altra donna e la fecondazione avviene mediante il seme del padre biologico del bambino. Va tutto bene fino alla nascita. Nella clinica il piccolo riceve un certificato da "apolide" e per portarlo in Italia è necessario andare all'ambasciata italiana a Kiev.

Qui nascono i problemi. Da qualche anno, infatti, dall'ambasciata segnalano i casi simili a questo alle Procure della Repubblica. Così, quando i due genitori arrivano in Italia e registrano il bimbo, scatta la denuncia. In base al codice la pena prevista varia da 5 a 15 anni. Inizia il processo e, alla fine, si conclude senza alcuna conseguenza negativa per i due genitori.

Come sottolinea il quotidiano toscano l'accusa "non è stata neanche derubricata con un eventuale reato minore come false dichiarazioni ai funzionari dell’ambasciata.

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