L'attacco alle Torri Gemelle non ha provocato 3mila morti come tutti credono, ma 4.600. All'appello mancano 1.600 vittime, di cui nessuno, né giornali né autorità, parla mai. Eppure la loro scomparsa è direttamente legata all'attentato suicida organizzato da Al Qaida. Dopo i drammatici giorni del settembre 2001 tra gli americani dilagò una sorta di rifiuto psicologico per il volo, le prenotazioni delle linee aeree crollarono in misura drammatica. Per gli spostamenti, anche quelli lunghi, si preferì tornare all'automobile, considerata al riparo da pericoli terroristici. Il traffico sulle strade aumentò di conseguenza. E di conseguenza aumentarono gli incidenti, compresi quelli letali. Risultato: nell'anno successivo agli attentati i morti sulle strade americane fecero segnare un inedito picco: furono, per l'appunto, 1.600 in più, tutte vittime misconosciute del fanatismo di Osama Bin Laden.
A fare i conti è stato un professore dell'Università di Berlino, Gerd Gigerenzer (vedi anche l'altro articolo in pagina) che fa parte di uno sparuto gruppo di studiosi che applicano metodi e analisi statistiche agli eventi della vita quotidiana e per professione calcolano i rischi insiti nei gesti più banali compiuti ogni giorno. La star europea della disciplina è un distinto e attempato professore britannico, David Spiegelhalter, presidente della Royal Statistical Society e docente di «Comprensione del rischio» all'Università di Cambridge. Grazie alle sue apparizioni in tv e al suo sito (understandinguncertainty.org) è diventato famoso, non solo in patria. Qualche settimana fa ha fatto parlare di sé perché in un'intervista ha valutato dal punto di vista statistico i pericoli di un attacco terroristico: «È molto più rischiosa la vasca da bagno», ha concluso.
LA MISURA DEL PERICOLO
I metodi utilizzati da Spiegelhalter e dai suoi colleghi furono sviluppati negli Usa intorno agli anni Settanta. In quel periodo nacque anche l'unità di misura del rischio acuto (legato cioè a cause accidentali), che ha il curioso nome di micromort. Il micromort indica una probabilità di morte su un milione. E in base ai dati forniti dall'Istat corrisponde anche al rischio medio di morire che corre ogni italiano per il solo fatto di alzarsi la mattina. Per calcolarlo si procede così: ogni giorno in Italia muoiono di morte accidentale 63 persone. Visto che gli abitanti della Penisola sono 60 milioni, il rischio è, per l'appunto, di un soffio superiore a un micromort al giorno. Per evitare eccessivi patemi d'animo è utile tenere presente un paragone chiarificatore citato dallo stesso Spiegelhalter: se si fa a testa o croce con una moneta, la possibilità che per 20 volte consecutive esca la stessa faccia equivale a una probabilità su un milione, ovvero a un micromort. Tutto sommato, insomma, il rischio c'è, ma possiamo considerarlo sotto controllo.
Naturalmente, se si passa dai dati medi a quelli reali le cose cambiano in relazione al tipo di attività svolta. Per quanto riguarda, per esempio, i mezzi di trasporto le differenze sono enormi e, talvolta, sorprendenti. Per raggiungere un livello di esposizione al rischio pari a un micromort ci vogliono 40 chilometri in bicicletta e 43 chilometri a piedi, ma ne bastano 10 in moto, il più pericoloso tra tutti i veicoli. Quanto al confronto tra treno, aereo e automobile, il più sicuro, come è noto, il treno: 16mila chilometri sui binari equivalgono a 12mila chilometri in aereo e 530 in auto. Poca roba, comunque, se la si paragona ad altre attività come un lancio con il paracadute (10 micromort), la partecipazione a una maratona (sette) o un'immersione subacquea (cinque).
IL SOVRAPPESO CHE TAGLIA LA VITA
Tutte queste discipline presentano un grado di rischio ben più rilevante rispetto a quello terroristico. Spiegelhalter ha calcolato l'esposizione al pericolo per chi si è trovato in Francia nel corso del 2015. Il metodo è quello già visto: si mette in relazione il numero di abitanti (66 milioni) al numero di morti (sono stati 147). Il risultato è stato di 2 micromort, basso dunque. Ma è lo stesso studioso ad ammettere che calcoli del genere lasciano il tempo che trovano. «Sono numeri che prescindono dai sentimenti. Il pericolo valutato in termini matematici è completamente diverso dal pericolo percepito».
Fin qui si è parlato del rischio acuto, ma Spiegelhalter e colleghi si occupano anche di rischio cronico, quello che si accumula giorno dopo giorno in seguito ai comportamenti delle persone coinvolte. Qui le cose si fanno ancora più complicate perché non c'è un legame diretto e immediatamente verificabile tra un evento specifico e la morte.
Anche in questo caso, però, per permettere di confrontare le diverse attività umane si è creata un'altra unità di misura fittizia, che ha il nome di microlife (o microvita), e che indica un impatto di mezz'ora (in più o in meno) sull'aspettativa di vita media. Chi conduce una vita malsana perde ogni giorno 30 minuti di sopravvivenza, chi vive bene (per esempio mangia frutta e fa sport) lo guadagna. Fumare un pacchetto di sigarette fa perdere addirittura 10 microvite, equivalenti a cinque ore di sopravvivenza.
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