In viaggio tra i ruderi dei grandi eventi italiani

Dalla stazione ferroviaria di Farneto a Roma fino ai tre ponti a Napoli chiusi dal giorno successivo alla fine dell'evento sportivo

In viaggio tra i ruderi dei grandi eventi italiani

Grandi eventi, grandi sprechi. Sembra essere questo il motto delle (dis)organizzazioni delle manifestazioni internazionali nel Bel Paese. Nell’immaginario collettivo, quando si parla di sprechi dello Stato e malagestione dei grandi eventi, il richiamo immediato rimane quello dei Mondiali di calcio del 1990, la madre degli scandali. Era il 1984 quando la Fifa assegnò all'Italia l'organizzazione del campionato mondiale e già allora si poteva immaginare che le cose si sarebbero messe male: il costo preventivato era di 7.230 miliardi di lire, di cui più di 6.000 provenienti dalle casse statali, (ovvero quasi 7 miliardi e mezzo di euro con la rivalutazione di oggi). Già così la spesa sarebbe stata superiore a quella sostenuta in Sudafrica per i mondiali del 2010, invece l’incremento dei costi fu addirittura dell’84 per cento.

A ricordare quel fallimento gestionale rimangono oggi diversi "mostri" a cielo aperto sparsi per tutto lo Stivale, opere pubbliche costruite e mai utilizzate: dalla stazione ferroviaria di Farneto a Roma, ora occupata da Casapound, fino ai tre ponti a Napoli chiusi dal giorno successivo alla fine dell'evento sportivo, passando per i maxi parcheggi di Palermo aperti - udite udite - a mondiale terminato e oggi sotto-utilizzati. E poi ci sono tutte le opere già demolite, come l'Hotel Lambro di Milano, l'Air Terminal di Roma, lo stesso Delle Alpi di Torino, che ha sempre causato polemiche per i seri problemi di progettazione. Ma "Italia '90" non è l'unico caso di disastro gestionale alla nostra maniera. Pare che ogni qual volta ottenga un riconoscimento sulla fiducia, l’Italia riesca a fallire.

Anche il Terzo Millennio ci offre fulgidi esempi di dubbie doti manageriali: è del 2006 la costruzione del villaggio olimpico di Torino realizzato in occasione delle Olimpiadi invernali. A marzo di quell’anno chiude il sipario della kermesse e l’intera struttura cade nel degrado, fino a trasformarsi in abitazione occupata abusivamente. Nel 2009 ci si riprova con i Mondiali di nuoto a Roma. Risultato? La "Città dello Sport" a Tor Vergata (purtroppo ben visibile dal casello di Roma Sud) è una enorme e vergognosa opera incompiuta. Si sarebbe dovuta comporre di un palasport con 8mila posti, un edificio pallanuoto con 4mila posti, una piscina olimpionica esterna con tribune fisse per 3mila posti e una pista di atletica, ma è rimasta soltanto sede di spaccio e terra di clochard.

Nello stesso anno si svolgono in Italia anche i Giochi del Mediterraneo, con sede a Pescara. Non soltanto risultarono 37 milioni di euro di buco nel bilancio, ma - tanto per cambiare - di tutte le strutture costruite nel capoluogo abruzzese per l’evento non si hanno notizie di riutilizzo.

Eccolo lo specchio di un Paese che fa ridere il mondo non appena si affaccia ad esso, che non riesce a trarre benefici economici né d’immagine da kermesse internazionali, che consuma fiumi di denaro pubblico per costruire cattedrali nel deserto, ruderi e mostri architettonici. Opere obbrobriose che non servono nemmeno da monito, come dimostra il recente annuncio del Presidente del Consiglio Renzi: l’Italia si è candidata ufficialmente ad ospitare le Olimpiadi del 2024. E chissà, magari anche Expo 2015 verrà annoverato nei libri di storia, ma come emblema 3.0 dello spreco in salsa italiana. Per il verdetto finale dovremo aspettare solo qualche mese.
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