Vietato parlare del flop tedesco

Vietato parlare del flop tedesco

È incredibile come si stia tenendo sotto traccia la situazione, drammatica, del settore bancario tedesco. Per anni la vigilanza europea, i grandi esperti, ci avevano raccontato che il malato sono le nostre banchette. Sono mesi invece che si cerca di trovare una soluzione, un salvataggio parliamoci chiaro, alle due reginette tedesche: Deutsche Bank e Commerzbank. Il terzo incomodo fu acquisito anni fa da Unicredit, e guarda caso oggi, almeno in Germania, è in sicurezza. Abbiamo pagato la follia della rigidità comunitaria obbligando le nostre banche a vendere alla velocità della luce i prestiti in sofferenza a cifre da saldo che giravano tra i 17 e i 20 centesimi per euro di capitale, e non ci accorgevamo che i giganti tedeschi stavano affondando.

Abbiamo preteso che non si utilizzasse il nostro privatissimo fondo interbancario per ristorare gli obbligazionisti subordinati intrappolati dal bail in e non ci rendevamo conto che Deutsche e Commerzbank, di cui una parte del capitale è in mano diretta al ministero delle Finanze tedesche, sommate insieme non valgono le quotazioni di Borsa di Intesa-Sanpaolo. Anzi ad essere più precisi le due banche tedesche insieme valgono 24 miliardi, mentre la sola Intesa ne quota 40 di miliardi. È incredibile e se ne parla troppo poco.

Una prima considerazione rende ancora più clamorosa la vicenda. La Germania che negli ultimi anni ha prosperato grazie al suo marco svalutato, e cioè l'euro, è sempre stata la locomotiva d'Europa, è sempre cresciuta a tassi superiori alla media Ue e di gran lunga maggiori rispetto all'Italia. Per essere più espliciti le banche tedesche hanno prestato soldi ad imprese che mediamente hanno sofferto la crisi meno di quelle italiane. E dunque la loro attività principale e cioè impiegare i quattrini raccolti dai risparmiatori in investimenti produttivi ha subito meno scossoni che da noi. Come sia possibile che le loro banche siano in acque così agitate, nonostante i loro investimenti tipici siano stati rivolti ad un tessuto produttivo che non ha subito la crisi è la domanda che ci si deve porre.

Una serie di risposte esiste. Forse le autorità europee invece di accanirsi sui nostri prestiti incagliati, avrebbero potuto ragionare in modo più complessivo. Tutti sanno infatti di una doppia peculiarità del mercato del credito tedesco.

La prima risiede nel fatto che ci siano una serie di superprotette banche regionali, equivalenti delle nostre banche locali, ma tutelate dai potenti politici locali. Ebbene esse sono di fatto fuori dal mercato. E spingono le due reginette, di cui sopra, ad una concorrenza piuttosto sleale. Deutsche quando combatte con la banchetta locale deve adeguarsi a condizioni non di mercato e dunque viene spiazzata. O se preferite deve trovare forme alternative di guadagno, tipicamente quelle da commissioni. Hanno spinto così fino all'inverosimile sull'investment banking, oggi in crisi, e su investimenti finanziari in derivati, la cui trasparenza è simile a quella di uno stagno nelle Everglades.

La seconda caratteristica del mercato creditizio tedesco è che banalmente il rapporto tra costi e ricavi è di molto superiore a quello italiano. Il folle sistema duale, che per qualche follia qualcuno vorrebbe introdurre in Italia, è rigidamente pensato, compreso per Deutsche e Commerz, con un importante peso della componente dei lavoratori in consiglio di sorveglianza. Quando l'economia tira, la cosa funziona. Ma quando c'è da tagliare, da ammodernare, da rivedere iniziano i guai. La fusione tra le due banche tedesche, è inutile girarci tanto intorno, in gran parte nasce dal fatto che i consigli delle due banche avrebbero dovuto votare anche il taglio di almeno trentamila lavoratori: sarebbe mai potuto passare con una governance di questo tipo?

Sia chiaro, anche in Italia si è proceduto ad una pesante ristrutturazione con le principali banche che hanno ridotto la loro forza lavoro fino ad un quarto del totale pre-crisi. Ma gli accordi sugli scivoli, cioè vai prima in pensione e ti garantisco per tot anni il 70-80% dello stipendio fino all'ottenimento dell'assegno previdenziale, ebbene questi accordi sono stati ottenuti con l'accordo del sindacato da una posizione di tipo contrattuale e non proprietaria.

La morale di questa storia è che il sistema bancario italiano, i nostri risparmiatori, hanno pagato un prezzo eccessivo per la crisi che ha investito la finanza nel post 2007, mentre quello tedesco, ritenuto a torto più solido, è stato tenuto falsamente in piedi, con la colpevole negligenza della vigilanza bancaria comunitaria così occhiuta nei nostri confronti. È stato ricapitalizzato per la bellezza di 240 miliardi di euro.

E oggi ci troviamo, viene quasi da ridere a scriverlo, nell'imbarazzante situazione di trovare qualcuno che si accolli il fardello della Deutsche Bank e della Commerzbank e che ci metta dentro altro capitale per non farle saltare.

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