Cronache

Vivere o morire per la pelle nuda

Quando sotto il vestito ​c'è anche la nostra civiltà

Vivere o morire per la pelle nuda

Morire per i vestiti? Morire (o anche solo farsi rompere qualche osso) per difendere gli shorts della moglie? Forse se lo sono chiesto i mariti finiti all'ospedale per difendere dagli insulti le mogli in minishorts, che si erano spinte nella passeggiata pomeridiana in uno dei quartieri più arabizzati di Tolone. Si tratta naturalmente di una domanda un po' vile, che fa venire in mente il «dobbiamo morire per Danzica?» che si chiesero alcuni francesi quando Hitler occupò la «città libera», incorporandola nel Reich tedesco. A volte però occorre porci anche domande vili, sia per non cadere nel trombonismo, sia soprattutto per capire dove girare al largo e dove invece ritrovare il coraggio, e non mollarlo assolutamente.

È allora forse il momento di riflettere su come mai il terreno più evidente e ripetuto del confronto-scontro in atto in Europa col mondo islamico sia diventato il vestito. Naturalmente la «grazia di mostrare la propria anima nel vestito» è un punto forte della cultura europea e quindi va difesa. Senza contare che la questione riguarda anche il tema della Persona, la forma dietro la quale la personalità (individuale ma anche collettiva, dei popoli) si presenta agli altri. Un aspetto che può sembrare superficiale, ma che poi ha un ruolo decisivo nell'esito dell'incontro. Senza Persona, senza ambasciatore, non si può trattare nulla.

D'accordo quindi, solo gli sciocchi sottovalutano l'aspetto del vestito. E aveva certamente ragione Oscar Wilde quando, a chi lo accusava di badare troppo all'esteriorità, ribatteva che: «Bisogna essere molto superficiali per non curarsi delle apparenze». Ma se si discute solo di apparenze, e pochissimo di cosa c'è sotto, non correremo per caso rischi eccessivi? Nella psicologia di Carl Gustav Jung ad esempio (che si è occupato a fondo della questione, perché gli svizzeri non la fanno pesare, ma la concretezza ce l'hanno eccome), la Persona è certo molto considerata. Ma quello che conta alla fine è ciò che la comanda, il Sé, dell'individuo o del popolo cui appartiene. Cosa c'è sotto. Non solo sotto il vestito, ma sotto la pelle. Insomma conta il cuore, e il cervello.

Invece qui si continua a discutere di pelle: quanta ne viene mostrata, in che modo, più o meno, con quali colori. Un esausto dibattito tra mediocrissimi stilisti della politica e del costume. Che per fortuna però comincia a fare anche ridere. Un ottimo segno perché l'affiorare del senso dell'umorismo segnala sempre l'emergere negli individui di una certa creatività. Vuole dire che forse non si è più solo paralizzati della paura, ma che si ha anche voglia di divertirsi. Non in modo funereo, andando a ascoltare vecchi metallari satanizzanti e suonati (alla Bataclan), ma prendendo per i fondelli i politici furbi che pretendono di «condirti via» (come si dice a Milano) cuocendoti negli inni nazionali, avvolgendoti nelle bandiere, nelle marce e nelle stronzate.

Come quella raccontata dal primo ministro francese Manuel Valls sulla Marianne, icona della «laicità repubblicana», che offre il seno nudo, con conseguente esortazione alle francesi di fare altrettanto per nutrire la Patria. Una faccenda penosa, ma che ha adesso ispirato alla nuova conduttrice di Canal 8, Daphné Bürki l'irresistibile gag già divenuta virale su YouTube. La ragazza (tra l'altro molto carina) dopo avere smentito che Marianne andasse in giro a seno nudo e smascherato la confusione di Valls tra la Marianne del popolo e la Liberté del quadro di Delacroix, che in quanto dea e opera d'arte può fare ciò che vuole, si dichiara comunque disposta a mostrare le tette per nutrire il popolo (e accenna spiritosamente a farlo), a condizione che Valls mostri finalmente le palle. Non una cosa finissima, ma certo più divertente e ispirativa della faccia severo/terrorizzata di Valls, bravo soprattutto a mettere in galera con accuse assurde i ragazzi delle Manif pour tous, poi regolarmente scarcerati dai giudici. Altre satire sulla politica da stilisti senza idee si moltiplicano intanto sulla rete, e aprono speranze più fondate di quelle cui punta la retorica vestaiola dei governanti del continente europeo. Forse, visto l'imbarazzante realtà del «sotto il vestito niente», si passerà ad argomenti più solidi.

Intanto si prende fiato, e si ride un po'.

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