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Voglia di Super Mario (ma lui ha altri piani)

Mario Draghi torna a parlare e lascia come sempre il segno: il tempo dei sussidi è finito e il debito va ora fatto solo per la crescita, dice parlando a Rimini, ma rivolgendosi a tutto il Vecchio Continente

Voglia di Super Mario (ma lui ha altri piani)

Mario Draghi torna a parlare e lascia come sempre il segno: il tempo dei sussidi è finito e il debito va ora fatto solo per la crescita, dice parlando a Rimini, ma rivolgendosi a tutto il Vecchio Continente. L'ex presidente della Bce è l'italiano che più sa parlare in Europa e che più di tutti viene ascoltato. A Francoforte ha tenuto testa per sette anni a una Angela Merkel arcigna e severa. Tutta diversa da quella di adesso, ammorbidita dalla tragedia della pandemia al punto da essere diventata la nostra più preziosa alleata. Come in un gioco delle parti, sembra quasi che i due ruoli si invertano, con l'italiano a richiamare serietà e rigore. In realtà sempre fermo nel suo essere sopra le parti, neutrale rispetto alla politica. Ma Draghi non è più il custode dell'euro.

Il suo ruolo è in divenire, in costruzione proprio attraverso discorsi come quello di ieri al Meeting di Rimini. Il secondo da quando quasi un anno fa ha lasciato Francoforte: il primo è stato un intervento sul Financial Times, il 26 marzo scorso, in piena pandemia. Due sole presenze pubbliche in 10 mesi. La prima per sostenere la necessità di interventi urgenti a sostegno di famiglie e imprese, anche a fondo perduto. Il secondo - ora che il problema sanitario resta vivo ma è quello economico da cui dipende il nostro destino - invita a cambiare marcia: con i sussidi non si costruisce la crescita. Bene il debito, ancora meglio quello comunitario, ma se lo si usa per aumentare il capitale umano, la progettualità per i giovani, le infrastrutture. E non cita l'Italia, Mario Draghi, bensì tutti i leader europei, per essersi persi in discussioni politiche di fronte al disastro che era davanti ai loro occhi. Rispetto al governo italiano, tuttavia, il forte richiamo all'importanza dei giovani nel pieno del caos scuola, e alla fine della politica dei sussidi, suona quasi come un controcanto.

Sarebbe però superficiale pensare che Draghi lavori per ottenere un ruolo in Italia, come evocano in tanti tutte le volte che apre bocca. Da questo quadro politico si terrà sempre alla larga, badando a non farsi invischiare, come «riserva della Repubblica», in beghe considerate minori. Il suo profilo resta più alto, il suo ruolo in fieri quello dell'unico italiano vivente, sopra le parti, che può dare del «tu» all'Europa, quando vuole e quando serve. Se poi nel febbraio 2022 questo dovesse portare a salire al Colle, si vedrà. Ma non è certo con parole come quelle di ieri o con chissà quale percorso di futuri interventi che Draghi si avvicina al Quirinale: per quella carica è e resterà comunque il candidato naturale, anche se, per assurdo, dovesse del tutto sparire dai radar per i prossimi 18 mesi. Ora Mario Draghi è altro: è la prima «riserva dell'Unione europea». Che nell'incerto e indefinibile futuro prossimo, segnato chissà per quanto e chissà come, da questa o da altre pandemie, potrebbe aver bisogno di uno come lui. In quale ruolo finale? Forse un'idea l'ha fornita lui stesso ieri mattina, quando ha detto che «l'inizio dell'emissione di un debito comune è importante perché potrà portare a disegnare un ministero del Tesoro comunitario per dare stabilità all'euro». Ecco: evocare una sorta di «Alto rappresentante dell'Unione per il Tesoro» (sulla falsa riga della carica del ministro degli Esteri europeo, rimasta però senza peso) indica di sicuro una strada. Quella della creazione di reali gradi di libertà, oggi inesistenti, per una politica di bilancio unitaria.

Il debito comune dei Recovery Fund pone in effetti le premesse per un ufficio di questo tipo. Bisognerà vedere se la cosa si limiterà a una direzione che prepara ed emette strumenti di debito comunitario, o se nell'architettura comunitaria si penserà a qualcosa di più complesso, dotato di risorse e leve fiscali. Solo così un tale ministero del Tesoro comunitario potrà contribuire, in tandem con la Bce, a «dare stabilità all'euro» come immagina Draghi.

E allora difficilmente si troverebbe in circolazione un profilo più adatto del suo per battezzarlo.

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