Tempi duri per Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, passato alla storia giudiziaria come "icona dell'antimafia" (copyright Antonio Ingroia), protagonista di mirabolanti rivelazioni ma anche di confidenza che hanno messo in grave imbarazzo i pm che credevano in lui ("Negli uffici della procura di Palermo io faccio quel che minchia voglio").
Questa mattina i carabinieri del Noe mettono le manette ai polsi di quattro compari di Ciancimino junior, accusati di averlo aiutato a nascondere alla magistratura un bel pezzo del tesoro ereditato dal padre Vito, sindaco di Palermo per conto di Cosa Nostra. L'icona dell'antimafia non viene arrestato perché per adesso (non essendo ancora legge la norma che punisce l'auto-riciclaggio) l'autore del reato principale non può essere arrestato per riciclaggio. Ma il guaio resta lo stesso. Perché nessuno può adesso prevedere come si comporteranno in galera i quattro arrestati.
A fare scattare la retata è una richiesta della procura antimafia di Roma, accolta dal giudice preliminare Massimo Battistini. In cella finiscono il rumeno Victor Dombrovschi, il reatino (ma anche lui di stanza in Romania) Sergio Pileri, il molisano Raffaele Valente, residente in Montenegro. Agli arresti domiciliari, grazie all'età e alla salute malferma, finisce il personaggio più colorito del quartetto, l'ingegnere Raffele Tronci, nato a Pistoia ma residente a Milano, da sempre titolare di solidi rapporti con i paesi dell'ex orbita comunista. Perchè è oltre cortina, in particolare in Romania, che i Ciancimino avevano imboscato il grosso del malloppo, investendolo in una delle discariche più grandi d'Europa, a Glina, controllata attraverso un circuito di società tra Bucarest e il Lussemburgo. Le quote di controllo della discarica erano state sequestrate nel giugno scorso, per un valore di cento milioni. Ora scattano gli arresti, dopo una indagine articolata e complessa, dove i carabinieri del "capitano Ultimo" hanno messo in campo tecniche senza precedenti di intercettazione.
L'inchiesta era iniziata nel 2010 da una costola delle indagini sulla ricostruzione in Abruzzo, che aveva già fatto ipotizzare un ingresso di capitali criminali grazie a Sergio Pileri. E da lì si era arrivati a Ciancimino e al suo amico Tronci. L'ordinanza di nsequestro del 2013 descriveva così i rapporti di Ciancimino junior con gli inquirenti palermitani: : "In tantissimi colloqui - scrive il gip - vantava rapporti di grande confidenza con i magistrati palermitani e si attribuiva il merito dell’indagine sulla Trattativa, avviata sulla base delle sue dichiarazioni, motivate dalla chiara esigenza di salvare il suo patrimonio". E lo stesso Ciancimino in una intercettazione si sfogava con Tronci contro Ultimo e contro il procuratore capo di Roma, Pignatone: "Io ho dichiarato che nel computer ci sono elementi dove io parlo di attività svolte da Pignatone e da Ultimo, che sarà l’argomento di mie dichiarazioni al processo della Trattativa e ritenevo poco opportuno il sequestro". E ancora: "Io gliel’ho detto anche a Ingroia, non me ne frega un cazzo né di Pignatone né di Ultimo. È inutile che mi dirà di stare fermo perché sennò lui se ne va nei guai, basta! Attaccherò Pignatone proprio a testa bassa".
Insomma, per il figlio del sindaco-boss la procura di Roma era l'impiccio che metteva a rischio il suo rapporto faticosamente costruito con i pm palermitani, e "Ultimo" era l'impiccio da cui liberarsi. Ma, a quanto pare, per adesso ha vinto Ultimo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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