Controcultura

"Crossroads": una perfetta macchina del tempo

Lo scrittore statunitense Jonathan Franzen è famoso per il romanzo "Le correzioni".

"Crossroads": una perfetta macchina del tempo

Prima parte di una trilogia cui si allude con una formula seducente, «Una chiave per tutte le mitologie», il titolo dell'ultimo romanzo di Jonathan Franzen, Crossroads (Einaudi, 725 pagg., 22 euro) è preso in prestito alla canzone più disperata di Robert Johnson, il musicista nero che ad un crocicchio, così racconta la leggenda, vendette l'anima al diavolo in cambio del talento che avrebbe fatto di lui il padre putativo del blues.

Anche il pastore evangelico al centro di Crossroads, Russ Hildebrandt, si è prestato ad un baratto analogo: per mettersi al passo con i tempi - siamo nell'epoca in cui bisogna ripulire l'America dal fango del maccartismo con ogni mezzo, dallo spiritualismo cristiano alla marihuana - ha pensato bene di adornare la stanza in cui lavora con un poster di Charlie Parker e un altro di Dylan Thomas; di aiutare concretamente il popolo navajo; e di farsi crescere la barba e i capelli. Ministro associato della First Reformed nella parrocchia di New Prospect, in Illinois, è sposato con Marion, una donna con qualche problema di pinguedine sopravvissuta a un passato atroce, che gli scrive i sermoni. Marion gli ha dato quattro figli, tutti sani e pieni di qualità. Adesso che si avvicina il Natale del 1971, e i bambini sono ormai dei ragazzi, Russ potrebbe tirare i remi in barca e godere del frutto delle proprie metamorfosi, non fosse che nel passato recente brucia la ferita infertagli dal suo ex-pupillo, Rick Ambrose, che di quelle metamorfosi ha rivelato a tutti, con grande scandalo, l'inanità: responsabile della "pastorale giovanile", l'uomo è il catalizzatore di un gruppo di autocoscienza genericamente religioso, "Crossroads", che si pone in aperta concorrenza con Russ. Leader carismatico non molto alto e con baffetti, Rick rassomiglia singolarmente al Tartufo di Molière come lo vedeva Cesare Garboli: più che agire in modo apertamente delinquenziale si limita a suscitare il rimosso, a portare alla luce le pulsioni innominabili dei suoi adepti illudendo il centinaio di giovani che lo seguono che esse, una volta dissotterrate, saranno elaborate e infine bonificate.

Memorabile, da questo punto di vista, la scena in cui due figli di Russ, Perry e Becky, che con un parricidio simbolico sono entrati nella setta di Rick, rivelano il disprezzo che nutrono l'uno per l'altra in un buio stanzino di Crossroads trasformato per l'occasione in confessionale. Il romanzo, però, non si limita ad esporre il conflitto fra Russ e Rick, ma passa di capitolo in capitolo nella testa dei personaggi principali, con un prospettivismo che mette in risalto le incongruenze di una società che in barba alle estati dell'amore e alle età dell'acquario è ben lungi dall'essere integrata ed anzi appare, nel suo goffo desiderio di purezza, sinistra. American Graffiti che mira all'esaustività ed esperimento di etnografia psicologica; operazione di salvataggio, ricostruzione e reinvenzione di un'epoca bruciata simile a quella attuata da Omero con la civiltà micenea o da Ariosto con il Medioevo cavalleresco, stavolta beninteso senza aspettare che le ceneri si raffreddino, Crossroads non sarà una chiave per tutte le mitologie - sono semplicemente troppe, senza contare che qui si preferisce demistificare - ma è un'efficiente macchina del tempo e dentro c'è l'indispensabile per sognare. Basterebbe un decimo dei temi adombrati nel romanzo per tenere gli occhi incollati alla pagina. I passi sfacciatamente magistrali, resi con disinvoltura dall'agile traduzione di Silvia Pareschi, sono un'infinità.

I lettori di Franzen saranno felici di constatare che il mago delle Correzioni non ha perso i suoi poteri.

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