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Crostacei, il piacere del crudo

Paolo Marchi

Dicono che la polenta sia afrodisiaca. Probabilmente lo sarà se mangiata in compagnia di una bella signora che con un sorriso ti strappa il cuore e te lo spara in orbita. Ma vogliamo mettere ostriche, tartufi e gamberoni quando pappati nella loro fiera purezza? A Crostacei e Frutti di Mare è dedicata la diciottesima uscita della Grande Cucina Italiana, la collana che il Giornale cura in collaborazione con l’editore Food di Parma, ogni martedì in edicola al prezzo di 6,90 .
Una nota sul retro di copertina ci ricorda come questa fetta di mare dà vita a moltissime ricette non solo estive - mai sognato di mangiare ostriche e Champagne a Parigi? -, ma è chiaro che è in estate che i più sentono la voglia di gustarli. Crostacei e frutti cugini loro sono un piacere assoluto anche perché in tantissimi casi, anche quando sono stati appena levati dal fuoco, vedi l’Impepata di cozze, possiamo servircene con le mani e poi pure mangiarli usando le mani, aggiungendo così altro piacere a un tasso già elevato di godere personale. E nel bicchiere Franciacorta, Giulio Ferrari, naturalmente eleganti bollicine francesi, ma a volte pure dei rosé che per molti sono un non vino, un limbo tra bianchi e rossi, ma che con le capesante alla griglia o la catalana di aragosta, scampi o gamberoni ci sta proprio bene. Gli esperti dicono pure che la morte vinosa dei molluschi è con un bianco di buona struttura. Liberi voi di sposare il Bacco che preferite.
Nell’introduzione tante informazioni utili, mai dare qualcosa per scontato. Ad esempio, è utile sapere che «il modo migliore per cuocerli è di utilizzare acqua di mare». E chi abita a Milano, Firenze (la peggior acqua d’Italia?) e Torino? Semplice: «Possiamo con praticità imitarla aggiungendo due cucchiai di sale marino a due litri di acqua». Guai non pulirli, un ristorante che serve gamberi con il filetto intestinale intatto è da evitare. Il consumo di crostacei e molluschi ha risvolti che a volte turbano: le aragoste vanno gettate vive nel pentolone di acqua bollente, le ostriche aperte vive e vive portate in bocca (e Casanova vive le passava dalla sua bocca a quella dell’amante del momento, un gioco eroticissimo) e così le cozze (io mi rifiuto però), i tartufi, scampi e gamberi. Grazie a una maggiore conoscenza della cucina giapponese, impazza la crudo-mania che non è solo il piacere del sushi, ma anche quello di un gran piatto di gamberi rossi di Sanremo o di Mazara del Vallo o di conchigliame assortito. E chi fa spallucce perché si è annoiato o crede sia una moda che arriva dall’Oriente, scenda a Bari e chieda una dozzina di cozze pelose o una gagliarda seppia che lì si mangia da sempre cruda e in pratica viva, quasi appena tolta dall’acqua. Più complicato un giorno a pranzo da Vittorio a Bergamo recuperare sulla tovaglia i gamberettini vivi che saltellavano ovunque.
E se la freschezza del prodotto è fondamentale, a maggior ragione se prevediamo di gustarlo crudo, non sempre il fatto che un’aragosta se ne sta nella vasca è indice di qualità. Dipende da quanto tempo è lì in cattività. Più le settimane passano e più deperisce anche perché l’aragosta quasi si nutre delle sue carni, ecco perché può capitare di imbattersi in un carapace o in chele d’astice non completamente piene di rigogliosa polpa. Un acquario tristarello è un valido motivo per cambiare locale.
Il ricettario è suddiviso, secondo copione, in più capitoli: Antipasti, Primi, Secondi e Chef che non si mangiano, ma che ci suggeriscono grandi creazioni per stupire famiglia e amici. Nelle pagine sempre ricette piacevoli, ricche di sapori e di colori, di equilibrio a tutta simpatia coi calamari e i gamberetti che si sposano avvolti di sentori di arancia e zenzero, con le capesante marinate arricchite con il pesto, con i gnocchetti fatti con la farina di ceci e poi conditi con cozze e pomodoro fresco, cozze che danno un tocco in più a una vellutata di zucchine, zucchine che a loro volta ritroviamo in un sugo di gamberetti a condire dei fusilli.
Ancora più articolate e acquolinose le idee dei grandi cuochi: Nicola Michieletto, consulente del ristorante La Vera Terra di Treviso, consiglia ai lettori del Giornale la Polpa di capasanta scottata al tamari su alzata di riso; Marco Garfagnini, chef e patron del Ninan a Carrara, firma arditi ma ghiotti Gamberi rossi con germogli di soia e salsa al caffè; Antonio Torino, il Mamma Rosa a San Polo d’Enza in provincia di Reggio Emilia la sua insegna, fa venire l’acquolina in bocca con Capesante con ragù di asparagi e gelatina di formaggio (formaggio di capra, formaggio di pecora e parmigiano a voler essere pignoli). E ancora Franca Franceschini, gran cuoca da Romano a Viareggio in Versilia e, stessa regione, la Toscana, Maria Salcuni, stellare manipolatrice di buone cose alla Tenda Rossa a San Casciano in Val di Pesa in provincia di Firenze.

Franca firma i Paccheri di Gragnano alla marinara e Maria i Gamberi rossi in fiore di zucca e salsa di zafferano. Infine Romano Rossi del Testamento del Porco a Ferrara con gli Strozzapreti gamberi, capesante e besciamella. Crostacei che passione.

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