La Crusca ha alzato bandiera bianca Non poteva far altro

Egregio Granzotto, leggo che l’Accademia della Crusca è ancora una volta in difficoltà economiche e se non arrivano i fondi forse dovrà chiudere. Non sia mai. Già una volta la sottoscrizione del Giornale la salvò dalla catastrofe, questa volta spetta ad altri (il ministro Bondi). Aggiungo, però, a una condizione: che la Crusca torni a essere il cane da guardia della lingua italiana, minacciata dai forestierismi e dall’incalzare dello pseudo-italiano disadorno, grammaticalmente e sintatticamente periclitante. Voglio ricordare che il presidente della Crusca ebbe a dichiarare che non è una tragedia l’abbandono del congiuntivo o l’uso di «gli» per «loro» o «le». Tragedia no, ma dramma sì.
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È un pezzo, caro Belgradi, che la secolare Accademia della Crusca ha smesso di montar la guardia alla così detta purezza della lingua. La quale, a detta proprio del professor Francesco Sabatini, «non deve chiudersi in gabbie di norme rigide», ma stare al passo a un «uso sociale del linguaggio». Le dirò subito che dove fa capolino l’aggettivo «sociale» io sento subito puzza di bruciato, però che la lingua debba star al passo coi tempi è un fatto. In questo, la Crusca è di manica larga: non solo chiude un occhio sull’abbandono del congiuntivo, non solo tollera il «gli» per «le», ma accetta anche l’impiego dei pronomi «lui», «lei» e «loro» con funzione di soggetto o il «che» sostitutivo di «il quale» o «la quale» e il salto delle concordanze («un certo numero di loro dicono...»). Tutto bene, prendiamo atto, caro Belgradi. Però se in una frase come: «Oggi ho incontrato Francesca e gli ho detto», quel «gli» al posto del corretto «le» tutto sommato funziona, il ricorrere o meno al congiuntivo cambia il senso della frase, essendo quel congiuntivo il modo verbale che indica l’incertezza, il dubbio, la possibilità. Mentre l’indicativo che abitualmente lo sostituisce indica la certezza, la realtà. Non bisogna aver orecchio fino per notare la differenza fra un: «Credo che è gol» e un «Credo sia gol».
Resta nella memoria dei cultori dell’uso del congiuntivo, in pratica degli anti sabatiniani, un episodio avvenuto l’8 ottobre del 1947 nientemeno che nell’aula della Costituente. Quel giorno, riferendosi al regolamento dei lavori l’onorevole Giuseppe Dossetti avanzò una riserva in merito all’articolo che disciplinava la presentazione degli ordini del giorno. Essendo i verbi - spiegò Dossetti ai Padri Costituenti - «messi al congiuntivo, in forma ipotetica, risulta evidente che la determinazione della funzione dell'ordine del giorno è qui ipotetica». Il testo, proseguì Dossetti, «non ha il carattere imperativo che avrebbe nella forma enunciata all’indicativo». Intervenne il presidente dell’Assemblea, Umberto Terracini: «Onorevole Dossetti, sento la necessità di farle osservare che quel tale congiuntivo, dal quale ella crede di potere dedurre certe conseguenze, è congiuntivo per necessità del concetto che esso esprime» (Bum! ndr). Poiché Dossetti scuoteva il capo, chiese allora la parola Palmiro Togliatti. Il quale così tagliò corto: «Prego l’onorevole Dossetti di tener presente che nella corretta lingua italiana, in casi come questo, il “che” preceduto dal verbo potere, regge sempre il congiuntivo. Spero che il Gruppo democristiano non pretenderà di farci cambiare la grammatica italiana col peso dei suoi 207 voti». Dossetti avrebbe voluto giustamente replicare, ma Terracini scampanellò e la cosa finì lì.

Ebbene, caro Belgradi: crede lei che oggi, in Parlamento, ci siano onorevoli deputati e senatori in condizione di duellare su una forma verbale? (Io penso di no, ed ecco perché la Crusca ha finito per alzare bandiera bianca).

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