Il Csm licenzia giudice lumaca Aveva 500 fascicoli arretrati
31 Gennaio 2007 - 03:01Ma la «bassissima produttività» del magistrato è stata considerata una malattia: nome secretato per la privacy
da Milano
Tecnicamente si chiama dispensa. Più prosaicamente è un licenziamento. Un provvedimento rarissimno, anzi unico, nella storia della magistratura italiana perché il giudice nel mirino del Csm è stato «espulso» dalla corporazione per la «scarsissima diligenza» e la «bassissima produttività» dimostrate sul campo, accumulando sulla sua scrivania uno spaventoso arretrato e dilatando a non finire i tempi della giustizia. Il 10 gennaio scorso il plenum del Csm ha deciso di chiudere i conti infliggendo alla toga milanese il massimo della pena: laddio immediato al posto di lavoro.
Il protagonista di questa storia quasi incredibile ha operato per una vita a Milano e da moltissimi anni era alla sezione lavoro del tribunale: un punto nevralgico del sistema giudiziario ambrosiano, uno snodo per cui passano licenziamenti e sanzioni disciplinari. Sono una trentina a Milano, la capitale industriale del Paese, i giudici sulla prima linea del rapporto fra imprese e dipendenti. A Palazzo tutti conoscevano il caso della toga-lumaca: una vicenda segnalata al Csm sin dal 2001. E, a quanto pare, già oggetto nel passato di un procedimento disciplinare concluso con una condanna soft.
Questa volta però i consiglieri di Palazzo dei Marescialli hanno istruito una pratica fuori dai binari canonici del procedimento disciplinare; in sostanza il Csm ha trattato il problema come una patologia e ha segretato il fascicolo e la delibera, proprio a tutela della privacy della pecora nera, ragione per cui il Giornale non può fare nomi.
I numeri, in ogni caso, sono quelli di un disastro: nel cassetto il magistrato aveva ammucchiato 499 sentenze e fascicoli in attesa di motivazione, con ritardi di mesi o addirittura di anni sulla tabella di marcia del tribunale. Nove provvedimenti, fra quelli in stallo, erano addirittura catalogati per legge come urgenti e dunque da trattare con la massima celerità.
Niente da fare. Lui li teneva lì, fermi. «La sua storia - racconta un collega che non vuole essere citato - ci aveva creato grandi imbarazzi negli anni scorsi. Anche perché si trattava di un magistrato che non aveva il profilo classico dellimboscato. Tuttaltro. Rimaneva tutti i giorni in ufficio otto-dieci ore, era una persona perbene, corretta, disponibile. Manifestava però una sorta di blocco psicologico: non motivava, oppure motivava e il giorno dopo buttava via quello che aveva scritto e ricominciava da capo. Mi è capitato di vedere questo sconcertante sistema in azione le rare volte in cui si decideva in équipe: un giorno una motivazione e lindomani tutto un altro scritto. Ma queste erano eccezioni, il giudice del lavoro è quasi sempre da solo: e io capisco lindignazione e la rabbia dei cittadini che hanno dovuto attendere a lungo, troppo a lungo, i suoi provvedimenti».
Insomma, il Csm si è trovato davanti a un macigno di inefficienza e ha dovuto intervenire. Le conseguenze però saranno limitate: oltre alla cornice di assoluta riservatezza in cui è stato analizzato il caso, ha giocato a favore del magistrato anche la procedura utilizzata; il giudice ha passato il traguardo anagrafico dei sessantacinque anni e la mossa del Csm lo costringe ad anticipare la pensione. Tutto qua.
Non subirà procedimenti di alcun genere né la sua presunta patologia verrà in qualche modo valutata ai fini previdenziali.
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