Il Csm promuove il giudice anti-Fininvest

MilanoIl Csm deve aver calibrato attentamente il momento: ha promosso Raimondo Mesiano neanche dieci giorni dopo il verdetto da 750 milioni sul Lodo Mondadori. Un tempismo straordinario. Un drago non soffierebbe sul fuoco allo stesso modo. Chissà, forse si è tenuto conto anche del fatto che il giudice padroneggia tre lingue. E le usa appena può. Anche a cento metri dal suo ufficio: a Palazzo di giustizia si raccontano i suoi travestimenti da turista berlinese che chiede lumi sul Duomo di Milano alle ragazze a passeggio per strada. Il pagellino che gli ha confezionato il Csm, alzandogli lo stipendio, è di quelli da dieci e lode. Un inno quasi imbarazzante all’«indipendenza, all’imparzialità, all’equilibrio, alla capacità, alla laboriosità, alla diligenza e all’impegno dimostrati». Prima alla X sezione del tribunale, ora in Corte d’appello.
Insomma, il Consiglio superiore ha già messo in cornice questa testa finissima, al traguardo anagrafico dei 57 anni. Ma perché? Quali sono i provvedimenti che ha firmato? Gli avvocati, quelli che battono tutti i giorni i corridoi dechirichiani del Palazzo, si smarriscono prima di rispondere. Un penalista tratteggia un altro ritrattino, un po’ più sbiadito: «L’ho osservato per tre anni, come giudice a latere, al fianco del presidente Italo Ghitti, il gip di Mani pulite, nel processo contro i clan calabresi che si erano impadroniti di garage e bar attorno al Tribunale. Mai una parola, mai un cenno, mai nulla di nulla. Se dovessi sintetizzare direi che ha dormito tre anni al fianco del presidente. Però so che i tre giudici hanno scritto una sentenza esemplare». Esemplare, naturalmente dal punto di vista delle difese perché quel procedimento si concluse con lo scacco della Procura e l’assoluzione degli imprenditori ritenuti collusi con la ’ndrangheta.
Che traccia ha lasciato Mesiano? Gli avvocati si grattano la testa, perplessi. Ora, ora certo il suo nome è famoso in tutta Italia, e forse anche oltre, per via dell’exploit sul Lodo Mondadori. Con quel risarcimento senza precedenti, 750 milioni di euro per la Cir di De Benedetti, che ha steso la Fininvest. Ma prima? Laboriosità, diligenza, equilibrio, parole che si agganciano come i vagoni di un treno lanciato ad alta velocità verso un’efficienza senza precedenti. I dati scandiscono però un media oraria un tantino più soft, da treno interregionale, di quelli che centellinano le stazioni. Prendiamo una causa qualunque per un’infiltrazione d’acqua in un appartamento. La classica macchia che si allarga sul soffitto, la telefonata all’inquilino del piano di sopra, le lamentele. La causa da poche migliaia di euro. Una banalità. E però qui il Mesiano poliglotta si mostra più prosaico: il procedimento comincia nel 2006, l’udienza in cui si discute sull’ammissione dei testi si svolge il 3 giugno 2008, la riserva sulle persone da sentire viene sciolta solo il 23 luglio 2009, l’udienza in cui i testi, meticolosamente scremati, verranno interrogati, è messa in calendario per il febbraio 2010. E la causa, ormai passata ad un altro magistrato dopo il suo trasloco in Corte d’appello, si chiuderà probabilmente nel 2011-2012. Niente male per il campionissimo della giustizia.
Certo, se si fa un giro nei disastrati uffici giudiziari italiani si trova di peggio. Ci sono cause che letteralmente scompaiono per anni e anni e non se ne sa più nulla come i fiumi del Carso. Insomma, il quadro generale è quello che è. Ma nel curriculum di Mesiano si stenta a ricordare, prima del botto sul Lodo, qualche verdetto di un certo peso. Si sa che ama gli studi filosofici su Marx, venerato anche dal padre, professore di liceo iscritto al Pci e almeno due volte candidato, senza successo, in Parlamento. Si sa che ha soggiornato a Londra con borse di studio presso istituti di diritto internazionale. Chapeau. Meno conosciuto il suo percorso professionale: prima di chiudere (quasi) la Fininvest con quella stangata, aveva chiuso la birreria Mac Duff, troppo chiassosa, e condannato il Comune perché un passante era finito in buca come una pallina da golf inciampando nel pavé. Scenette quotidiane prima della Guerra di Segrate, risolta disinvoltamente senza neanche ripararsi dietro lo scudo, quasi d’ordinanza fra i giudici, di una qualche perizia.
L’uomo è fatto così. Lavorava, alla fine degli anni ’70, all’ufficio Iva di Sondrio e da lì entrò in magistratura. Il peccato originale gli è rimasto addosso: quel tratto un po’ naif, non proprio canonico per una toga, un po’ come era sui generis il Di Pietro pm che in una vita precedente era stato poliziotto e ne interpretava ancora i modi e la mentalità. Funzionario del fisco e poi magistrato, Mesiano, fra Reggio Calabria, Sondrio, La Spezia, Milano. Basterebbero due righe due per raccontarlo, prima di scoprire che è più lungo l’elenco dei sostantivi spesi dal Csm per spingerlo in avanti. Il personaggio, però, è rimasto lo stesso: ruspante. Riceve gli avvocati amabilmente nel suo ufficio, li intrattiene gentilmente, spezzando la conversazione con una sigaretta e una bevuta a canna dall’immancabile bottiglietta di acqua minerale. Qualche volta è talmente preso dal tema che non si accorge di essere in mezzo ad estranei. Come quella sera qualche mese fa, in cui ad un tavolo del «Cuoco di bordo», ristorante della celeberrima via Gluck, spiegava ai commensali e non solo a loro che Berlusconi a questo punto si deve dimettere. Un’idea che Mesiano condivide con molti colleghi.

Anche se ora sono gli altri ad interessarsi di lui: Gaetano Pecorella, l’avvocato del premier, definisce «poco opportuna» quella promozione. Proprio ora che il magistrato sgarrupato porta sulle spalle la sentenza più ricca della storia.

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