Si respira un vento di novità a Cuba, un fremito dinsofferenza, cè una crepa di luce nel muro del regime. Il soffio di una svolta sembra partito da alcuni mesi, ma è assecondato da un giornale, e da una domanda: «Limpiego giovanile a Cuba, il racconto che non quadra?». Il titolo è stato mandato in stampa domenica sullunico quotidiano che esce in edicola quel giorno in tutta lisola: il foglio filogovernativo Juventud Rebelde, organo dellUnione dei Giovani Comunisti, fondato nel 1965 da Fidel Castro. Larticolo di Juventud critica i dati ufficiali sulla disoccupazione giovanile del governo dellAvana e delle autorità provinciali. Parla dei giovani e dei problemi «di stipendio». Sgretola le radici dellottimismo. Mette in discussione quei numeri e quelle certezze che sono sempre state la forza di Castro, il suo orgoglio e il suo potere. Avverte che il governo «si deve liberare dal fantasma delle cifre». Cita un sondaggio su salari «che non corrispondono alle necessità».
Per chi è abituato a sfogliare i quotidiani cubani, a sorridere della loro fedeltà alle idee, ai proclami, a un passato a cui ci si aggrappa con disperazione più che con vanto, larticolo di domenica appare come il segnale di un cambiamento. Un dubbio dopo quarantotto anni di convinzioni: una stampa più libera o un Paese che vuole essere libero?
Anche alcuni quotidiani sudamericani, assorbiti ormai dal venezuelano Chavez e dal suo socialismo totalitario, se ne sono accorti. Chiamarla revolucion è prematuro. A Cuba non sta nascendo una nuova rivoluzione, ma un punto di domanda, come il titolo di Juventud Rebelde. Sembra che i giovani cubani si siano ricordati di essere giovani, prima che castristi. E con loro si stanno svegliando anche gli altri: il reportage di Juventud è stato preceduto nei giorni scorsi da un accenno della Tv di Stato ad alcune disfunzioni nella sanità, fiore allocchiello del governo castrista. Respirando questo vento nuovo, è stato lo stesso Raul Castro, il fratello di Fidel, a proporre, alcune settimane fa, un dibattito (top secret per la stampa estera) su «i problemi di Cuba».
Leggendo a ritroso lultima attualità cubana, si scopre in realtà che proprio da Juventud Rebelde era partita uninchiesta in cui si dava spazio ad alcuni malumori dei medici cubani. Non era accaduto mai, non almeno con tale chiarezza, in questi 16 mesi in cui Castro aveva dovuto lasciare i poteri a Raul per una malattia allintestino divenuta fin dal primo giorno «segreto di Stato».
Sapere quanti giovani non lavorano e non studiano a Cuba è un calcolo che appare impossibile, scrive Juventud Rebelde nellarticolo di domenica, ma chiarisce: «Le cifre non sono il riflesso della realtà».
Il reportage, che occupa due pagine del quotidiano, è diviso per capitoli. Uno sintitola: «Cifre false». Alcune province come quella di Granma, si aggiunge nel servizio, «si inorgogliscono dicendo di aver raggiunto il pieno impiego, con una tasso di disoccupazione bassissimo, del 2%. Però rimane una domanda - scrive il quotidiano dei giovani comunisti -: perché si vede tanta gente senza lavorare per le strade?».
Si cita quindi una ricerca dei «lavoratori sociali del territorio», secondo la quale i disoccupati nella provincia di Granma non sono 2mila ma «37mila». Può essere, si suppone, che i dati dei ministeri del Lavoro e della Sicurezza sociale non tengano in considerazione le casalinghe. Ma tra i 37mila, ci sono «13mila uomini». «Forse - la domanda, ironica - saranno tutti casalinghi?».
Il sospetto cresce, e il giornale lo raccoglie: «Se Granma era uno dei punti di riferimento del basso tasso di disoccupazione, come saranno messe le altre province, che hanno a che fare con numeri più alti di cittadini?». La critica al governo continua: «Il 90% di chi non ha un impiego in realtà non trova posti accettabili». Si cita il caso di Ciego de Avila, con le dichiarazioni di un insegnante che afferma: «Ogni anno diplomiamo maestri di cucina, poi però non riusciamo a collocarli».
Problemi, falsità: Cuba sta forse scoprendo le parole proibite. E lironia.
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