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Artema, mangiare (molto bene) dentro i Sassi di Matera

Il ristorante dell’hotel Vetera Matera, che ha sede in un locale scavato nella roccia ma elegante e confortevole, è guidato dallo chef napoletano Eduardo Estatico, che propone una cucina di stampo napoletano ma arricchita dalle mille ispirazioni maturate nella sua carriera e sorretta da una tecnica inappuntabile. Straordinaria la Pasta e fagioli, capolavoro di equilibrio

Artema, mangiare (molto bene) dentro i Sassi di Matera

Matera è una delle più straordinarie città italiane. I Sassi sono il nucleo storico della città, due quartieri rupestri (il Sasso Baresano e il Sasso Caveoso) scavati nella roccia a ridosso di un profondo burrone, la “Gravina”, e arrampicati su due speroni che si fronteggiano. Uno straordinario panorama culturale e architettonico che ha conosciuto nel dopoguerra dapprima l’abbandono – quando la politica si accorse delle precarie condizioni igieniche e sanitarie che lo caratterizzavano e ne dispose l’evacuazione, costruendo accanto la Matera moderna – e poi il rilancio – quando si capì che quella città abbandonata era una straordinaria miniera turistica.

Oggi i Sassi sono percorsi in tutte le stagioni da visitatori colti e curiosi, che si perdono nei mille vicoli. E la città è ricca di strutture ricettive e ristorative che cercano di inserirsi gentilmente in questo paesaggio. Tra esse la più ambiziosa è l’hotel Vetera Matera, un raffinato albergo diffuso cinque stelle lusso nel cuore del Rione Vetera, che dopo molti anni di un accurato lavoro di restauro è riuscito a interpretare con sensibilità ed eleganza la storia di quei luoghi fragili ma potenti. Un albergo diffuso che si snoda su più livelli come in un presepe deluxe, e su più corpi ravvicinati, con camere e suite alcune su terrazze che garantiscono viste incomparabili e altre ipogee, di una bellezza intima e quasi spirituale.

Scavato nella roccia è anche il ristorante Artema (che di Matera è un vezzoso anagramma), che è il nuovo regno dello chef napoletano Eduardo Estatico, uno da sempre poco profeta in patria. Ha girato l’Italia in piazze importanti (la Peca di Lonigo, Acquerello di Fagnano Olona, Locanda di Bu a Nusco, poi Roma e Capri) e soltanto nella sua Napoli ha vissuto qualche delusione. Ora si è rimesso in gioco in questa realtà affascinante ma eccentrica, che ha preferito a indirizzi più sicuri, ma il personaggio è fatto così, non ama necessariamente rendersi facile la vita. Il progetto qui è di lunga scadenza, ci vorrà forse un po’ di tempo per imporre l’insegna all’attenzione della critica (ma nella guida Ristoranti d’Italia del Gambero Rosso c’è già e con un punteggio interessante per una nuova apertura, 83 centesimi) ma l’idea è quella di farne una vera destinazione.

Due i menu disponibili. Il primo, in viaggio con Eduardo, è un percorso molto personale, che esibisce tutte le esperienze e le idee del quarantenne chef napoletano (140 euro), mentre il secondo, Basilicata in Verde (120 euro) mette al centro il territorio e i suoi prodotti in un percorso vegetariano (ma non vegano) con qualche piatto davvero interessante. Da entrambi i menu possono anche essere scelti singoli piatti, in modo che ciascuno possa costruirsi il suo itinerario.

Io, dopo, un piccolo benvenuto con due “morsi” (Dalla testa ai piedi di maialino con salsa al rafano e scorzetta di lime, e un Mini bun con diaframma di manzo, maionese affumicata e cetriolino marinato) e il servizio del pane nel quale la parte del leone lo fa un tarallo napoletano (con la “’nzogna”) ho dedicato le mie cure al primo vero piatto, Senza scampo, un wafer con tartare di scampo di Sicilia e un fior di latte di capra della Murgia, un’aria al lemongrass e salsa al lemongrass affumicato. Poi un’immersione nella napoletanità con la Genovese, classico sugo della domenica, qui interpretata in un crocchè impanato con fiocchi di mais, crema di cipolla rossa di Acquaviva, cannella, caciocavallo podolico e un’aria di alloro.

Poi due primi, entrambi memorabili: dapprima un Capellino Benedetto Cavalieri, con vongole, un estratto di cipresso e cavial lime, di grande sapidità; e una Pasta e fagioli che viene ultimata al tavolo, con una crema di fagioli rossi di Sarconi che viene appoggiata a ricoprire delle lumachine Benedetto Cavalieri, levistico, fagioli bianchi di Sarconi, peperoni cruschi ed erbette di stagione e fiori eduli. Sopra un concentrato di pomodori del Vesuvio. Un piatto di gusti antichi e tecniche moderne. Il tutto senza grassi animali (ma solo dell’olio evo).

Non è finita. Ecco un piatto vegetariano a base di fungo cardoncello, in due servizi: il primo è una specie di Wellington, con il fungo avvolto in una foglia di melissa e racchiuso in uno scrigno di pasta frolla, salsa al latte e tabacco e salsa di melissa. Il secondo servizio comprende dei cardoncelli arrosto glassati in una salsa ponzu, con erba cipollina, peperoncino, miele e aceto e, a parte, in una ciotola, una crema di cardoncello, una chip di pane di Matera e tapioca soffiata e cardoncelli trifolati. Quando della carne non si sente davvero la mancanza.

Ultimo piatto salato il Maialino lucano caramellato con cicoriella ripassata in padella, una crema di cicoriella e un cannolo di mela annurca e fondo di cottura. Un piatto complesso e tecnico, un piccolo capolavoro.

Infine i dolci: prima un disco di meringa con cremoso alle castagne, zabaione affumicato all’amaro Lucano e sopra una crema chantilly alla vaniglia e un’aria all’amaro Lucano, poi la Maschera di Pulcinella fatta di cacao e latte d’asina di Modica e all’interno dello zenzero e del riso soffiato e alla base una frolla, una confettura di0 pera Signora della Valle del Sinni e un sorbetto dello stesso frutto e meringa bruciata.

Per chiudere della classica piccola pasticceria.

Una cena lunga e soddisfacente, resa ancora più piacevole dall’accorto servizio di Stefano e del sommelier Francesco, che ritaglia una carta dei vini non sterminata ma adeguata, con molto territorio.

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