Cultura e Spettacoli

Cucinotta: boicottata per il seno e l’accento

L’attrice si sfoga: «In Italia sono razzisti. Dopo “Il postino” non mi hanno più fatto lavorare. Mi dicevano tettona e terrona e mi facevano il verso»

Valentina Pedrazzini

da Milano

«Ero tettona e terrona. Appena aprivo bocca mi facevano il verso per l’accento». È il colmo dei colmi: la superflorida Maria Grazia Cucinotta si lamenta di un seno che milioni di maschi italiani sognano di notte e che altrettante signore e signorine vorrebbero al posto del proprio. L’(innegabile) inflessione sudista è la seconda giustificazione inalberata dalla florida attrice messinese per spiegare i sempre più rari ingaggi che le vengono proposti in patria. Vola una parola grossa, «razzismo», che a guardar bene si attaglia meglio all’accento siculo che alle grandi forme. La star ha manifestato le proprie angosciate sensazioni al settimanale Vanity Fair, in edicola da oggi, che ha raccolto le sue confidenze.
La trentasettenne star ribadisce di non avere conoscenze nell’ambiente e di non fare vita mondana, che tra le righe significa: se mi facessi spingere da questo o quell’altro e mi facessi vedere su un terrazzo, le mie opportunità di lavoro si sarebbero moltiplicate. I maligni «dicevano che ero stata miracolata da Troisi», con cui girò Il postino. Insomma un quasi indelebile marchio d’infamia (bella e incapace) per una carriera, cominciata, come forse qualcuno ricorderà, come ragazza coccodè di Indietro tutta, programma di Renzo Arbore e baciata dalla buona sorte per l’incontro fatale con lo scomparso attore napoletano.
Oggi Maria Grazia si sfoga: «Me ne sono andata in America perché in Italia non mi facevano lavorare». Ma allora i conti non tornano del tutto. Quattro anni fa la bella siciliana confidò al Giornale: «Sono andata in America per imparare a diventare un’attrice. L’ho fatto per crescere, per non farmi viziare dalla fortuna: in Italia mi va tutto troppo bene, perfino quando mi va male». Certo una cosa bisogna concedergliela, l’ironia della sorte la volle debuttante per il grande schermo quando gli attori se non venivano dalle scuole di teatro erano considerati zero, mentre ora la tendenza di casa nostra è di reclutare volti televisivi. Pazienza se poi, a prescindere dal luogo di nascita, non sanno recitare. Anche se la Cucinotta sostiene che «chiunque può recitare bene se diretto da una persona capace» e rileva le differenze con Sophia Loren, cui fu paragonata agli esordi della carriera, che «aveva un produttore alle spalle (il marito Carlo Ponti, mentre lei deve accontentarsi di un imprenditore senza agganci nel cinema) che l’ha saputa costruire come un personaggio». Sostiene ancora la corvina Maria Grazia che «se Troisi non fosse morto, forse mi avrebbe aiutata, e avrebbe saputo valorizzarmi in Italia».
Invece dovette seguire il suo istinto «passionale», come lei lo definisce, che però le fece accettare ruoli in produzioni anche di bassa qualità, per l’assillo dell«ogni lasciata è persa». In compenso qualcuno potrebbe pensare che prese un granchio rifiutando la parte propostale in Austin Powers, parodia del britannico James Bond, dove la macchina l’avrebbe ripresa «senza veli». Il che fece arrabbiare il suo manager che, intento a «lanciare il suo personaggio», avrebbe forse percorso volentieri questa scorciatoia. Ma Maria Grazia è donna d’onore e continua a dire «no» a chi la vuole «come mamma l’ha fatta». L’attrice è sempre stata così ostinata nel suo pudore che perfino in Ho solo fatto a pezzi mia moglie, in cui interpretava un ruolo poco incline agli abiti, come quello di una prostituta, è rimasta coperta fino al collo. Vestita o meno che fosse, quel film non ha contribuito al suo rilancio, e dire che al suo fianco c’erano due pezzi da novanta quali Woody Allen e Sharon Stone.
Nonostante l’asserita «sventura» professionale, la seducente Maria Grazia mantiene il bel sorriso sulle labbra. E anche se solo pochi mesi fa dichiarò che non avrebbe mai fatto la produttrice perché «io e i soldi abbiamo un pessimo rapporto», ora la attendiamo a braccia aperte al Festival di Venezia con All the Invisible Children, una serie di corti da lei prodotti.

Chissà che non nasca una stella.

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