Cultura dall’altra faccia della luna

Cultura dall’altra faccia della luna

Nicola Simonelli

In precedenza sarà stato a causa delle riserve esercitate dal fascismo su ciò che arrivava dai Balcani in fatto di cultura, poi, sarà dipeso per il protrarsi di questioni con l’Jugoslavia ai nostri confini (a cui nel contempo si doveva aggiungere la condanna del Cominform contro l’autonomia del Maresciallo Tito che avrà contribuito da parte del PCI a far stagnare politicamente per anni giudizi di non considerazione) ed infine vuoi per il drammatico conflitto, in anni più recenti, nel Kosovo e dal ruolo sostenuto da Milosevic: fatto rimane che la cultura di quei popoli sembrava proprio non esistesse. O che appartenesse all’altra faccia della luna.
Solamente quando si ha l’opportunità di addentrarci in una lettura, nel caso, Silvio Ferrari, «Due serbi e un bosniaco», Editore De Ferrari, si comprende, allora, dei pregiudizi e del limite che ristagna in noi. E ogni qual volta la circostanza mi fa riemergere inevitabilmente il ricordo di quando dovetti affrontare lo studio di un’opera fondamentale di Mercea Illiade sulle Religioni, che scoprii che l’autore era un rumeno. Un rumeno? Lo stupore si tramutò in umilizione. Avrei voluto chiedere scusa a qualcuno. Dal momento ho sempre cercato d’immaginare (forse per discolparmi dall’ignoranza) quale altre cultura si sarebbe potuta sviluppare e diffondere in Europa se non ci fossero stati, nella prima metà del secolo scorso, Hitler e Stalin ad eliminare generazioni e generazioni di intellettuali da quei paesi danubiani?
Con una descrizione puntigliosa su ogni testo preso in esame, Ferrari denota una vocazione critica non di poco conto, riproducendo momenti di storia (l’attentato di Sarajevo e l’emigrazione degli ebrei dall’Andalusia in Croazia) e frammenti d’arte (sulle origini native di Michelangelo) di vero interesse. Per non annoverare emblematici trascorsi di personaggi appartenenti a popoli (serbo-bosniaci) che un tempo furono soggiogati sia dall’impero ottomano e sia da quello asburgico. Infatti, si tratta, come egli stesso confida di: «... quattro scritti di taglio misto informativo, estetico-interpretativo e di due ampie prove di traduzione di brani inediti...».
Però, il narrare erudito e con frequenti rimandi dalla tendenza quasi esegetica, a volte il contenuto si trasforma ostico. In verità se ne soffre un poco, specie quando il lettore è abituato - come io sono - ad una esposizione più semplice.


Comunque se l’autore di questa «antologia» di valore, come immagino ha voluto farci conoscere opere e testimonianze di scrittori «diversi» ritengo ci sia riuscito. Oggi l’auspicio è di sapere continuare con successivi ed appropriati simili libri. Magari riuscendo a ricuperare un tempo perduto, dato che gli orizzonti appaiono più schiariti.

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