La cultura di destra? Clandestina, ma viva

Si cerca il killer del pensiero conservatore. In realtà non c’è stato omicidio. La "vittima" è solo meno visibile perché ha ripudiato l’ideologia tornando alle radici

La cultura di destra? 
Clandestina, ma viva

Chi ha ucciso la cultura di destra? Le piste al vaglio degli inquirenti sono quattro: la sinistra, Berlu­sconi, Fini, il suicidio. O per dir meglio, le ipotesi finora avanzate sono le seguenti: a) l’egemonia culturale della sinistra con la sua cappa ideologico-mafiosa le avrebbe negato gli spazi di libertà e visibilità fino a soffocarla; b) l’egemonia sottoculturale del ber­lusconismo in tv e in politica l’avrebbe per metà corrotta e per metà emarginata; c) l’insipienza della destra politica avrebbe de­molito ogni ragione culturale e ideale della destra, fino all’epilo­go indecente finiano; d) la cultu­ra di destra è evaporata per la sua stessa inconsistenza.

La riapertura del caso, dopo an­ni di silenzio, è dovuta alla ripubblicazione di un saggio di Furio Jesi, Cultura di destra (già Garzanti, ora Notte­tempo), uscito negli anni Set­tanta. È già un brutto indizio che si regredisca ai feroci e cupi anni Settanta con un trattato di criminologia culturale. Jesi, che morì precocemente nel 1980, convoca in un tribunale ideologico grandi autori, da Eliade a Kerényi, da Evola a Spengler, fino a Pirandello e D’Annunzio, arrivando perfi­no a Carducci e a De Amicis, so­cialista patriottico qui accusa­to di razzismo. Per Jesi la cultu­ra di destra è connotata dal raz­zismo e dall’antidemocrazia, dalle «idee senza parole», dalla mitologia irrazionalistica e dal culto della morte. Jesi liquida la cultura di destra come «una pappa omogeneizzata» (se c’è una cosa che ripugna alla cultu­ra di destra è la pappa omoge­neizzata) che esige valori non discutibili con la maiuscola: «Tradizione e Cultura, Giusti­zia e Libertà, Rivoluzione». È curioso notare che eccetto la Tradizione, quei valori sono di­chia­rati indiscutibili e maiusco­li a sinistra; Giustizia e Libertà è pure il nome di un movimento antifascista di ieri e di oggi.

Nella prefazione alla nuova edizione, che ignora i numerosi saggi sul tema usciti nel frattem­po negli ultimi 32 anni, Andrea Cavalletti sostiene che la cultu­ra di destra è «caratterizzata, in buona o in cattiva fede, dal vuo­to ». Ora, a parte l’assurdo di de­dicare centinaia di pagine al «vuoto», ne avessero dalle sue parti di «vuoti» come quei gigan­ti del pensiero e della letteratu­ra prima citati... E conclude allu­dendo, come è ovvio, a Berlu­sconi: la cultura di destra ama la relazione tra «la moltitudine e il vate» e perciò si ritrova nel pre­sente: «un simile benefattore è il tipo politico dei nostri giorni», «il linguaggio delle idee senza parole è la dominante di quan­to oggi si stampa e si dice» (ma che dice? Oggi dominano le pa­role senza idee e la stampa non è certo in mano alla cultura di destra) e la cultura di destra è egemone perché «ciò che la ca­ratterizza è la produzione del vuoto dal vuoto» (ma crede che Evola e Spengler siano i precur­sori di Lele Mora e Fede?). Con un livello così misero, capite il disagio nel discutere sulla cultu­ra di destra. E capite perché ne­ghino ancora, al più grande filo­sofo italiano del ’900, Giovanni Gentile, una via a Firenze dove fu ucciso dopo aver predicato la concordia in piena guerra civi­le.

Ma torno alla domanda inizia­le su chi ha ucciso la cultura di destra. Sono plausibili tutte le piste indicate ma a patto di chia­rirle meglio.
Certo, la cultura dominante di sinistra, dopo un periodo di dialogo e apertura, si è reincatti­vita e condanna la cultura di de­stra alla morte civile. Sono lon­tani i tempi in cui un editore co­me Laterza pubblicava, facen­do 15 ristampe, un saggio sulla cultura della destra di un auto­re di destra. In seguito, inaspri­to il clima, lo stesso editore ha declinato l’invito a integrare quel testo con i dialoghi dell’au­t­ore con Dahrendorf e con Bob­bio. Oggi dialogano solo se ti di­chiari antiberlusconiano. Ma la cultura di sinistra era egemone e faziosa già ai tempi in cui fiori­va la cultura di destra; dunque l’ipotesi è fondata ma non ba­sta.

Certo, la sottocultura televisi­va, il frivolo e il banale domi­nanti hanno reso straniera la cultura di destra, la fanno senti­re a disagio, fuori posto. Ma quella sottocultura imperversa­va dai tempi della Carrà e dei quiz, di Giovannona coscialun­ga e affini; e allora non c’era an­cora il berlusconismo. Insom­ma pure questa ipotesi è fonda­ta ma non basta.

Anche l’insipienza della de­stra politica è storia vecchia, Fi­ni l’ha portata al suo gradino ul­timo e più infame, ma sarebbe troppo ritenere che le sue piro­ette abbiano cancellato la cul­tura di destra. Quella cultura non viveva all’ombra di un par­tito; per la stessa ragione non può essere uccisa dalla politi­ca.

All’evaporazione, infine, non credo; piuttosto è vera la ra­refazione dei talenti, anche per il clima di cui sopra, tra nemici di fuori, ignoranti di dentro e il nulla che tutto pervade. Nel ge­nerale degrado della cultura, anche quella di destra spari­sce. Della cultura di sinistra so­pravvive la cappa di potere, l’as­setto mafioso e intollerante, non certo l’elaborazione di idee. Non mancano pulsioni autodistruttive, nella cultura di destra, derivate da pessimismo endogeno e sconforto esoge­no. Ma la cultura di destra ha dismesso i panni della cultura militante, panni vecchi e fuori tempo, ed è tornata al Padre. Si è fatta invisibile e celeste, me­no legata alla storia e alla lotta, più essenziale ed esistenziale, liberata dalle categorie ideolo­giche. Quegli autori citati, no­nostante alcuni brutti risvolti, restano grandi ed è meglio che non siano sporcati nella conte­sa politica e siano lasciati alla loro grandiosa solitudine.

Al termine delle indagini sommarie, si può dire: la cultu­ra di destra non è stata uccisa e vive sotto falso nome; o forse fal­so era il nome di «destra» che le fu affibbiato.

Per metà non la ve­diamo perché abbiamo perso gli occhi della mente, accecati dal livore presente e dalla nullo­crazia. Per metà non si fa vede­re lei, perché si è spostata su pia­ni diversi, impolitici. È passata alla clandestinità e non ha per­messo di soggiorno.

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