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La cultura deve vivere senza lo Stato

di Filippo Cavazzoni e Luca Nannipieri

La vera notizia non è che la Quadriennale di Roma quest’anno non verrà fatta perché non ci sono i soldi. La vera notizia è che il ministro dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi ha finalmente detto chiaro e tondo, ieri sul Corriere della sera, che al suo Ministero i soldi sono finiti: non è più possibile aspettarsi ogni volta il sostegno dello Stato alla cultura; le istituzioni culturali devono cavarsela da sole, senza chiedere finanziamenti pubblici che non ci possono essere. Finalmente una presa di posizione netta: basta con le politiche assistenzialiste che finora hanno regnato sovrane nelle istituzioni culturali; basta con chi non sa trovare altri finanziamenti e pretende però i soldi dei cittadini prelevati attraverso una tassazione sempre più asfissiante. Se un’istituzione non ha più soldi per andare avanti, la soluzione può anche essere la chiusura. L’elenco di musei, siti archeologici e fondazioni che hanno fatto parlare di sé per bilanci in rosso o carenze gestionali è sterminato: Quadriennale, MAXXI, Pompei, Petruzzelli di Bari, Madre di Napoli... Il problema di fondo è sempre lo stesso: il fallimento gestionale, l’inettitudine con cui viene amministrata la cultura. La dinamica è la seguente: a un certo punto comincia ad aprirsi una falla economica che col tempo aumenta di dimensioni, fino a quando non si decide per una misura speciale: o la sospensione delle attività, come alla Quadriennale, o l’invio di un commissario «salvatore» per metterci una pezza. A volte la falla viene tappata, altre no. In un caso o nell’altro, è la certificazione di un fallimento. Ma i fallimenti sono così frequenti che non hanno più nulla di straordinario. Due esempi su tutti: Pompei e il Petruzzelli di Bari. Al Petruzzelli, ogni 100 euro 80 venivano dati in stipendi e 20 in produzione. Con percentuali così sproporzionate non è possibile garantire il buon andamento di una qualsiasi istituzione culturale. E difatti, prima dell’arrivo del commissario Carlo Fuortes, il teatro aveva incamerato debiti per 8,5 milioni, con un costo del personale che in soli due anni, dal 2009 al 2011, era cresciuto da 3 a 8 milioni. Pompei è un caso analogo: il commissariamento dell’area archeologica non ha invertito la cattiva organizzazione, e il sito è tutt’oggi malcurato e fa parlare di sé solo per i crolli. Il commissariamento della cultura è pratica corrente, soprattutto tra le istituzioni eccellenti. La gestione dell’emergenza in questi anni è diventata la normalità. Diverse sono le fondazioni liriche che stanno subendo il destino del Petruzzelli. Ingessature burocratiche, inadeguatezza del management e lassismo gestionale, questi sono in sintesi i nodi del problema. È ormai fallita l’idea novecentesca secondo cui, in nome della cultura come bene comune, si mantengono strutture la cui spesa è insostenibile e la cui indispensabilità è tutta da provare. Ma per superare quest’idea occorre far entrare in modo deciso i privati nella gestione della cultura. Ieri il ministro Ornaghi ha scritto parole importanti.

Ora servono i fatti: occorre dare una sterzata per incentivare il passaggio della gestione della cultura dalle mani pubbliche a quelle private (non profit o for profit che siano). Se non vogliamo cedere la proprietà del patrimonio pubblico, almeno facciamo in modo che sia gestito in maniera più accorta e virtuosa.

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