La corsa alla rivisitazione inclusiva delle tradizioni natalizie sembra non conoscere tregua. E, puntualmente, a farne le spese è il presepe: simbolo cristiano per eccellenza, ora oggetto privilegiato di sperimentazioni ideologiche che hanno ben poco a che fare con la devozione. Quest'anno, dall'Europa agli Stati Uniti, il fenomeno ha raggiunto vette difficili da immaginare.
Uno dei casi più eclatanti arriva dal cuore dell'Ue, Bruxelles, dove sulla Grand-Place è comparso un presepe che definire eccentrico è un eufemismo. L'allestimento propone Gesù Bambino, Giuseppe e Maria senza volto, assemblati con patchwork di tessuti di vari colori. L'obiettivo? Rappresentare «tutte le tonalità della pelle» per permettere a chiunque di «vedersi riflesso». Sui social in molti hanno fatto notare come la scelta di eliminare i volti richiami da vicino il rigido divieto iconografico presente nella Sharia. «Per ora Giuseppe ha una sola moglie. Il burqa sarà per l'anno prossimo» l'ironia di alcuni utenti.
Come se non bastasse, nelle notte tra sabato e domenica è comparsa la scritta «Free Palestine», tracciata dai soliti soloni pro Pal che hanno pensato bene di vandalizzare la tenda della natività «inclusiva». L'amministrazione ha già provveduto a cancellare il graffito e ha promesso più controlli, sperando che almeno fino all'Epifania il presepe non diventi un palcoscenico per ulteriori rivendicazioni.
Dall'altra parte dell'Atlantico, invece, il presepe è diventato un mezzo per esprimere posizioni politiche contro Trump. A Chicago, la Lake Street Church ha allestito un presepe ispirato ai raid dell'Ice, l'agenzia federale per l'immigrazione. La scena è un manifesto: Maria con una maschera antigas, Gesù Bambino con le mani legate da una fascetta, sdraiato su una coperta termica, mentre attorno a loro vigilano centurioni moderni, dotati di occhiali scuri e gilet verdi con la scritta «Ice». Secondo la chiesa, la rappresentazione vuole creare un parallelismo tra la Sacra Famiglia e le famiglie di migranti detenute. «Non è un'installazione discreta perché la crisi non è astratta» si legge nel comunicato. Il messaggio è cristallino: il presepe come teatro di denuncia politica.
Che si tratti di Bruxelles o di una chiesa progressista dell'Illinois, il filo conduttore è lo stesso: la tradizione cristiana piegata a messaggi identitari. Sia chiaro, non è una novità.
Ma la radicalità di certe scelte fa emergere un interrogativo: dove finisce l'arte e dove inizia la forzatura ideologica? Trasformare un presepe in un manifesto woke o in una protesta anti-Trump dice molto più di noi che del Natale stesso.