L'ultima follia woke: per la Stanford dire "americano" è offensivo

La Stanford University ha pubblicato una guida che "mira a eliminare il linguaggio dannoso, incluso il linguaggio razzista, violento e di parte". E anche "americano" diventa offensivo

L'ultima follia woke: per la Stanford dire "americano" è offensivo

Triste, ma vero. Le università del mondo anglosassone sono la culla del follemente corretto, dell'ideologia "woke" e delle barbarie della cancel culture. Nei luoghi che dovrebbero appartenere al "sapere" e alla sana dialettica, vengono censurati e licenziati i professori non allineati, bullizzati ed emarginati gli studenti "conservatori", oscurati gli autori classici etichettati come razzisti, diffuse e insegnate assurde teorie perniciose come la Teoria critica della razza ("Critical race theory") e l'ideologia del gender, cioè della supremazia del genere sul sesso biologico. La nuova bibbia laica del progressista medio parte da qui, da queste mura, e si diffonde in tutto il globo. Il tutto condito da un intollerabile puritanesimo che punta il dito contro tutti quelli che non si allineano al nuovo pensiero unico e immerso in una cappa di moralismo politically correct. E così, nel nome delle minoranze e dell'inclusione, anche la parola più innocente può essere considerata "offensiva" e inappropriata. L'ultima follia proviene dalla Stanford University, la quale ha etichettato la parola "americano" come "dannosa", sostituendola con la più corretta espressione "cittadino statunitense".

Follia alla Stanford

L'università lo ha rivelato sul suo sito web lunedì tramite l'iniziativa "Elimination of Harmful Language Initiative" (Ehli), lanciata a maggio, che mira a eliminare il linguaggio offensivo. Secondo la Stanford, tale iniziativa è "orientata ad aiutare le persone a riconoscere e affrontare il linguaggio potenzialmente dannoso che potrebbero utilizzare". Ma perché la parola "americano" sarebbe così offensiva e pericolosa per la celebre università? Il termine, afferma l'ateneo, "si riferisce spesso solo a persone provenienti dagli Stati Uniti, insinuando così che gli Stati Uniti sono il paese più importante delle Americhe (Nord e Sud che comprendono 42 nazioni)". Trattasi, di fatto, di una vera e propria guida riguardante le parole che si possono o meno dire. Secondo i cacciatori di pregiudizi, nota il Wall Street Journal, anche la parola "immigrato" deve essere sostituita co una forma più "inclusiva" come "persona che è immigrata" come alternativa approvata. "È la legge ferrea della scrittura accademica: perché usare una parola quando ne bastano quattro?" ironizza il Wsj nel suo articolo nel quale deride e smonta l'iniziativa dell'università statunitense.

Conformismo e oppressione

Come sottolineava tempo fa l'ex rettore del St. John College di Annapolis, la maggioranza delle Università americane non è più libera. Non sono più luoghi dove si educa al pensiero critico che, al contrario, viene schernito e oppresso in nome del rispetto delle minoranze e dell'inclusività. "La realtà - spiega Kanelos -è che molte università non sono più incentivate a creare un ambiente in cui il dissenso intellettuale sia protetto". Le università, prosegue, sono i luoghi dove si plasmano le abitudini e i costumi dei nostri cittadini.

Se queste istituzioni non sono aperte e pluralistiche, "se inibiscono la parola e ostracizzano coloro che hanno punti di vista impopolari, se portano gli studiosi a evitare interi argomenti per paura, se danno la priorità al conforto emotivo rispetto alla ricerca spesso scomoda della verità, a chi sarà lasciato modellare il discorso necessario per sostenere la libertà in una società che si autogoverna?".

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