La guerra puritana dei liberal a Ovidio. Nel 2015, quattro studenti della Columbia University pubblicarono una lettera nella quale chiesero al corpo docente di introdurre un "trigger warning" - un avviso - su Le Metamorfosi, il poema mitologico nel quale Ovidio canta in più di duecento favole, a cominciare dal Caos, tutto il mondo mitico delle trasformazioni fino all'assunzione di Cesare fra gli astri e all'apoteosi di Augusto. "Le vivide rappresentazioni di stupri e aggressioni sessuali" vennero definiti dagli stessi studenti "angoscianti". Molti altri protestarono perché l'osservazione degli studenti progressisti non teneva conto di un "piccolo" particolare, ossia che il celebre poema era stato scritto più di 2000 anni fa: giudicare un'opera del passato con gli occhi della contemporaneità, senza un'accurata contestualizzazione, come impone l'ideologia della "cancel culture", è infatti segno di radicalismo ideologico. Da allora, complice anche l'isteria del movimento "#MeToo", le opere di Publio Ovidio Nasone sono finite nel mirino delle università "woke" del mondo anglosassone.
Polemiche per la nuova traduzione de Le Metamorfosi
Come riporta Il Foglio, il New Yorker discute ora di una nuova traduzione di Ovidio pubblicata dalla Penguin a firma della studiosa di Ovidio Stephanie McCarter, che sul Washington Post ha firmato un articolo nel quale scrive: "Gli studenti della Columbia non stavano cercando di censurare il materiale che riguardava lo stupro, ma semplicemente chiedevano che tale violenza fosse inquadrata e analizzata come violenza. E'stata l'estetizzazione inconsapevole che li ha turbati". La stessa McCarter osserva, rispetto alle opere di Ovidio, che leggerlo "con uno sguardo verso la sua piena complessità - la sua bellezza e la sua brutalità - ci permette di scrutare il nostro spinoso rapporto con il passato e con l'eredità ambivalente che ne abbiamo ricevuto". Combattere con gli aspetti sgradevoli della letteratura antica, afferma, "significa fare il duro lavoro dell'autoesame". Ancora una volta emerge quel senso di colpa e quell'odio verso le radici culturali dell'occidente che molti studiosi progressisti hanno sposato.
Il New Yorker si chiede dunque se l'opera di Ovidio debba avere un "trigger warning" per via dei contenuti, mentre nel lungo articolo scritto da Daniel Mendesohn si descrive il poeta come un "autore controverso". Negli ultimi anni, afferma, si è discusso molto sui classici greci e romani e sulle "loro pretese di universalità; sulla lunga associazione della disciplina con le élite” e sul "conforto che alcuni aspetti della cultura greco-romana hanno dato ai razzisti", nonché sul "modo problematico" in cui questi "grandi libri rimangono centrali per la nostra autocomprensione culturale anche quando gli studiosi hanno da tempo chiarito che le civiltà che li hanno prodotti erano fondate su valori e istituzioni che oggi troviamo repellenti: patriarcato, misoginia, economie basate sul lavoro degli schiavi". Ancora una volta, gli studiosi "woke" giudicano queste opere - e le civiltà - del passato con i paraocchi dell'ideologia e del moralismo basato sul dogma della correttezza politica.
La guerra culturale contro i classici
Da anni, dopotutto, la "cancel culture "se la prende con gli studi classici. È possibile salvare i classici greci e latini dalla "whiteness" (bianchezza), ossia dal dominio dei bianchi sui neri? È la domanda che si poneva qualche tempo fa il New York Times parlando di Dan-el Padilla Peralta, professore associato di classici a Princeton che ricerca e insegna la Repubblica Romana e il primo Impero, e di altri docenti statunitensi che vogliono ridiscutere il ruolo dei greci e dei latini nelle scuole e nelle università nel nome del politicamente corretto. Padilla, nato nella Repubblica Dominicana ed emigrato negli Stati Uniti, sostiene, insieme ad altri accademici progressisti, che i classici dovrebbero un giorno essere rimossi dai programmi universitari in quanto sono così "invischiati nella supremazia bianca da essere inseparabili da essa". Padilla va oltre e afferma che gli studi classici sono ostili alle minoranze.
"Se si volesse pensare a una disciplina i cui organi istituzionali fossero esplicitamente volti a disconoscere lo status legittimo degli studiosi del colore", ha detto al New York Times, "non si potrebbe fare di meglio di ciò che hanno fatto i classici". Follia politicamente corretta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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