Cultura e società

"Abusi delle piattaforme". La scuola Usa porta i giganti del web in tribunale

Svolta epocale contro i social network accusati di sfruttare i minori a scopo di profitto. Un gruppo di distretti scolastici prepara l'assalto ai big della Silicon Valley

(Immagine: pixabay.com/geralt)
(Immagine: pixabay.com/geralt)

"Hanno sfruttato per profitto i cervelli vulnerabili dei giovani". Questa, in sostanza, la motivazione della causa che alcuni distretti scolastici hanno intentato ai principali colossi dei social network come Meta (Facebook, Instagram, WhatsApp), Google (YouTube), TikTok (l’azienda cinese ByteDance), Snap, la società che controlla SnapChat. Che i ragazzi siano sempre più connessi non è certo una novità, ma ora l'allarme si allarga come spiega Giuseppe Lavenia, presidente dell'Associazione nazionale dipendenze tecnologiche (Di.te.). "Sempre più ragazzi, specie dopo la pandemia preferiscono vivere online piuttosto che fare esperienze nella vita reale, con tutto quello che può derivarne, dal cyberbullismo all'hikikomori. Ma spesso sottovalutiamo il fatto che un uso eccessivo e precoce può avere conseguenze negative sul piano psicologico e sociale", racconta in un'intervista.

Ma ora le cose sono andate anche oltre, e a scendere in campo sono gli insegnanti, in quello che a tutti gli effetti è un passo avanti epocale che travalica il semplice allarme, e arriva sui tavoli della giustizia a cui si chiede di prendere provvedimenti importanti. Il distretto scolastico di Seattle, negli Stati Uniti, si è riunito compatto unendosi alle singole cause di molte famiglie che già nel 2021 avevano raccolto migliaia di firme dopo svariati casi di suicidio tra giovanissimi, dando vita ad un nuovo movimento e intentando causa ai giganti online, accusandoli con un documento aver "agganciato decine di milioni di studenti in tutto il Paese attraverso un circuito vizioso di risposte positive sui social media che porta all'uso eccessivo e all'abuso delle piattaforme. Peggio ancora il contenuto che gli imputati propongono e indirizzano ai giovani è troppo spesso dannoso e teso allo sfruttamento per interessi economici".

Sono 91 le pagine che compongono la denuncia, e che inchiodano i social obbligandoli a difendersi davanti alla legge per aver "avvelenato i giovani utenti inducendoli ad una vera e propria dipendenza, con il risultato che le scuole non possono adempiere correttamente alla propria missione educativa perché un numero sempre maggiore di studenti soffre d’ansia, depressione e altri problemi psicologici legati o acuiti dall’utilizzo delle piattaforme per la socialità digitale".

Un filo, quello delle scuole di Seattle, che si allunga sempre di più supportato da molti importanti quotidiani americani come il Wall Street Jornal che già in passato aveva cavalcato l'onda, con una lunga serie d'inchieste partite da Frances Haugen, l'ex dipendente di Facebook che con una denuncia pubblica aveva affermato che Meta, azienda di Mark Zuckerberg che comprende Facebook, Instagram, WhatsApp: "Stava consapevolmente depredando i giovani vulnerabili per aumentare i profitti". Si era parlato all'epoca, con un dibattito che rimane anche ora attualissimo, degli effetti pericolosi e negativi che aveva portato un terzo delle ragazze adolescenti a non sentirsi a proprio agio con il fisico, "particolare" di non poco conto, dovuto all'uso eccessivo di Instagram, che con i suoi contenuti le avrebbe fatte sentire ancora peggio.

All'epoca i risultati non erano stati quelli sperati, neanche dopo l'intervento del Congresso. Ma oggi quel filo spezzato è stato riallacciato dalla denuncia degli insegnanti che vanno all'attacco colpendo al cuore la responsabilità dei social: "Il querelante non sostiene che gli imputati siano responsabili per ciò che terze parti hanno pubblicato sulle piattaforme, ma piuttosto per la condotta stessa degli imputati. Che raccomandano e promuovono attivamente contenuti dannosi per i giovani, come messaggi a favore dell’anoressia e che provocano disturbi alimentari".

In base a questo, il distretto scolastico chiede quindi al tribunale di ordinare alle aziende di cessare questa attività "di disturbo alla popolazione", di risarcire i danni alle famiglie, e di pagare dei corsi di prevenzione e il trattamento per l'uso eccessivo e problematico dei social media.

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