Boris 4, quando la comicità batte il politicamente corretto

La quarta stagione di Boris è una vera e propria ventata d'aria fresca nel mondo dell'intrattenimento moderno, troppo spesso fossilizzato nel buonismo a tutti i costi

Boris 4, quando la comicità batte il politicamente corretto

Se c'era una cosa difficile da immaginare, nell'epoca del politicamente corretto a ogni costo, era il ritorno di una serie come Boris, irriverente e scorretta per natura, che raccontava il dietro le quinte da incubo del mondo della fiction italiana, senza risparmiare nessuno. Quando è stata annunciata la quarta stagione di Boris - che ha debuttato il 26 ottobre su Disney+ dopo un'anteprima alla Festa del Cinema di Roma - i molti fan della serie con Francesco Pannofino hanno sentito tremare la terra sotto i piedi. Era possibile tornare sui set sboccati e folli di René Ferretti, in un'epoca in cui ogni parola viene soppesata e criticata? La risposta arriva direttamente dagli episodi della serie, che dimostrano come si possa ancora ridere di ciò che è scorretto, prendendo di mira proprio quegli standard che stanno pian piano uccidendo la comicità.

Di cosa parla Boris 4?

La tv generalista che aveva trasmesso la fiction Gli occhi del cuore è ormai sul viale del tramonto, ignorata dalla maggior parte degli spettatori che è invece approdata nel complicato mondo delle piattaforme streaming. Ed è proprio su una di queste piattaforme che gli attori Stanis (Pietro Sermonti) e Corinna (Carolina Crescintini) vogliono portare il loro nuovo progetto, una fiction incentrata sulla vita di Gesù. A fare da intermediario tra il cast e i pezzi grossi della piattaforma c'è Alessandro (Alessandro Tiberi), passato dall'essere uno stagista maltrattato da tutti a persona influente. La piattaforma streaming, personificata nella persona di Allison, deve però rispondere a standard molto precisi che includono inclusione, romance e storie teen. Così, mentre i soliti sceneggiatori cercano di trasformare il Vangelo in qualcosa che somigli più ai prodotti politicamente corretti accettati dal network, René Ferretti (Francesco Pannofino) rimette insieme tutta la squadra per cercare di fare un prodotto che non lo faccia vergognare di se stesso, dove i favori della politica sono stati sostituiti dalla spinta del reciclo di denaro sporco della mafia.

"L'inferno è pieno di quarte stagioni"

Definita spesso la migliore fiction italiana mai realizzata per la sua capacità di raccontare il dietro le quinte dello spettacolo con un linguaggio satirico e tagliente che non si è mai risparmiato nulla, Boris torna sul piccolo schermo a dodici anni dalla messa in onda dell'ultimo episodio della terza stagione. Dodici anni in cui il mondo della televisione è cambiato e in cui la narrativa stessa si è ripiegata su racconti molto spesso piatti e uguali a se stessi che, nel desiderio di accontentare tutti e non offendere nessuno, finiscono ben presto nel dimenticatoio. La quarta stagione di Boris mostra la consapevolezza e la coscienza del mutamento avvenuto nella comicità e, in un'epoca in cui non si può più dire nulla, Boris dice tutto, prendendo di mira proprio quel falso buonismo che ormai sta affossando l'arte di far ridere.

Non a caso una delle prime scene della quarta stagione riguarda un corso comportamentale che tutta la troupe fittizia è chiamata a seguire per imparare a comportarsi secondo le regole del nuovo dogma: niente torpiloquio, desinenze neutre alla fine di ogni parola e il divieto assoluto di offendere gli altri. Regole che rispecchiano i tempi attuali, ma che Boris prende di mira e destruttura, rendendole armi per ridere del politicamente corretto, per mostrarne i difetti. La genialità della scrittura di Boris sta proprio in questa capacità di ereditare le idiosincrasie della società moderna e trasformarle in scene satiriche così riuscite che è difficile smettere di guardare.

Una consapevolezza, questa, che abbraccia anche il mondo dell'intrattenimento stesso. Invece di fossilizzarsi sulla tv che ormai è sempre più morente, la sceneggiatura di Boris abbraccia l'avvento delle piattaforme streaming come Netflix, ma anche in questo caso mostrandone i limiti. Ecco allora che all'orizzonte fa il suo ingresso in scena il misterioso algoritmo, presenza costante ma invisibile, un po' come fu il Dottor Cane delle prime stagioni. Un intreccio di numeri e combinazioni che detta legge e obbliga i protagonisti a sottostare a delle regole assurde: ecco allora che per realizzare la fiction bisogna trasformare Gesù e Giuda in due vecchi amici d'infanzia legati dal trauma, così come la Vergine Maria e Maria Maddalena si trovano a parlare della situazione della donna nella Palestina di inizio millennio. Boris 4 prende tutto ciò che non funziona nell'intrattenimento moderno, tutte le contraddizioni legate al politicamente corretto e al buonismo fatto più per moda che per altro, e lo trasforma in strumenti da portare a scena per realizzare quella che forse è la migliore serie dell'anno, capace di affacciarsi sullo schermo senza paura di dire quello che vuole dire, con una scrittura limpida e tagliente, che diverte lo spettatore.

Luca Vendruscolo e Giacomo Giarrapico, orfani del compianto Mattia Torre, riescono a tracciare il ritratto cinico e spietato della televisione, rimanendo fedeli ai personaggi originali, che rimangono legati alla propria mediocrità. Per fortuna.

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