Controcultura

Sciascia e l’amico Pasolini. Una lezione civile e letteraria

Sciascia e l’amico Pasolini. Una lezione civile e letteraria

Racalmuto. La Fondazione Sciascia, a Racalmuto, città di nascita dello scrittore in provincia di Agrigento, ospita, fino al 25 febbraio 2023, la mostra Sciascia e Pasolini tra i documenti in archivio. L'esposizione, curata da Edith Cutaia e Vito Catalano, raccoglie le lettere di Pier Paolo Pasolini a Leonardo Sciascia, una scelta di articoli, dattiloscritti e altri documenti in parte inediti.
Si nota subito un fatto, sottolineato anche nel recente convegno ospitato dalla Fondazione, che allargava lo sguardo agli altri scrittori di quella generazione (Sciascia è del 1921, Pasolini del 1922). Questi uomini, per quanto fossero geniali innovatori, giungono alla fine di una storia. Prima di loro, c'era Benedetto Croce al quale si reagiva: ponendosi in continuità o superandone l'eredità. Dopo di loro, c'è la critica ridotta ad ancella del mercato, l'università di massa, una crescente ignoranza della letteratura, un disprezzo per la cultura alta che nasconde il disprezzo per la vera cultura, i poeti che non riconoscono un endecasillabo, gli scrittori più numerosi dei lettori. Non a caso, Sciascia e Pasolini, assieme a Giovanni Testori (classe 1923), sono stati gli ultimi a dare vita a battaglie culturali vere, dunque scomode e pagate a caro prezzo. Gli articoli di Sciascia e Pasolini spaccavano in due il pubblico e facevano discutere l'Italia intera. C'è una vetrina, nella mostra, che ospita il botta e risposta, sul Corriere della Sera, relativo all'aborto. Entrambi scrivono con una libertà, e Sciascia anche con una tolleranza dell'opinione altrui, che oggi sono semplicemente impensabili. Nessuno dei «pezzi» esposti raggiungerebbe la prima pagina di un quotidiano. Non è solo colpa dei giornali, terrorizzati dal politicamente corretto: basta una parola sbagliata ormai per finire tritati nella pattumiera dei social network. È anche colpa del tradimento dei chierici, l'ennesimo: per impreparazione e viltà. Oggi si confermano i pregiudizi (supposti) dei lettori che, annoiati, preferiscono lasciare i giornali in edicola e i libri sugli scaffali.
Invece, e lo vediamo nei documenti in mostra, un tempo c'era una società letteraria minuscola quanto si vuole ma capace di grandi dibattiti. Pasolini, al solito vulcanico, segnalava a Sciascia opere meritevoli (di Giorgio Bassani), poeti da conoscere (Giorgio Caproni), scrittori da scoprire (Francesco Leonetti). C'è più cultura in una vetrina di questa esposizione che nelle vetrine di molte librerie. Vogliamo parlare di riviste? Sciascia pubblicava Galleria, con una collana di testi che presto accoglierà anche le poesie Dal diario di Pasolini. In Fondazione c'è la raccolta completa e anche il prezioso volumetto pasoliniano. Pasolini pubblicherà Officina, che richiamava fin dalla testata il magistero di giganti come il critico d'arte Roberto Longhi e di Gianfranco Contini. Bassani, citato in una lettera, era il caporedattore di Botteghe oscure, che ospitava il meglio della letteratura. Testori era redattore, come Bassani, di Paragone, la rivista fondata da Roberto Longhi in persona. Volendo si può continuare. Pasolini dipingeva, Bassani scriveva saggi su pittori come Mario Cavaglieri, Testori era pittore e anche uno dei maggiori critici d'arte del Novecento. Sciascia aveva una quadreria sterminata di ritratti di scrittori. Li potete ammirare in Fondazione. Firme: Guttuso, Maccari, Clerici e sono soltanto i primi tre sui quali cade lo sguardo. Questi uomini volevano, e sapevano, fare tutto. Pasolini diventò regista. Testori ha segnato la storia del teatro. Bassani ha sceneggiato numerosi film oltre a combattere per l'ambiente con Italia Nostra. Sciascia ha insegnato la natura del diritto e il garantismo senza avere bisogno di una cattedra. Siamo a livelli stratosferici. Il meglio della cultura italiana è stato dissipato in idiozie mercantili sul piano editoriale e dal mito del «pezzo di carta» sul piano della accademia. Cosa c'è di più brutto di un libro fatto per vendere che poi neppure vende? Cosa c'è di più inutile di una università che produce solo pensiero debole per polli d'allevamento?
Questo articolo però non è una laudatio del tempo andato (solo un po'). Piuttosto vorrebbe essere lo spunto per una riflessione più ampia sulla importanza di luoghi come la Fondazione Sciascia, ma potremmo anche citare quelle intitolate a Bassani, a Longhi, Casa Testori o il Centro studi Pasolini. Un governo conservatore, in campo culturale, potrebbe anche partire dal sostegno (non necessariamente e non esclusivamente economico) a queste realtà. Chissà cosa ne pensa il neo-ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. La Fondazione Sciascia offre infinite opportunità. In un solo luogo abbiamo le lettere, i libri, le fotografie, la biblioteca. Fuori dalla porta abbiamo il mondo di cui si nutre l'opera di Sciascia: Racalmuto. È un patrimonio da conservare ma anche da mettere a frutto. Siamo di fronte a una miniera di informazioni biografiche e bibliografiche. In Fondazione avete a disposizione la competenza e la gentilezza di Giovanni Bufalino e Edith Cutaia. Pensate cosa si potrà fare quando avremo on line i cataloghi delle fondazioni (in parte già ci sono). Quali risultati potrebbero dare ricerche incrociate. Un esempio. Tra i documenti più interessanti in mostra, c'è un biglietto di Nico Naldini, cugino e biografo di Pasolini, che chiede informazioni a Sciascia su Il disprezzo della provincia, un romanzo appunto di Pasolini, incompiuto e pubblicato postumo nei «Meridiani» Mondadori. Alla versione attualmente nota mancano capitoli importanti, in cui Pasolini, dietro all'esile velo della finzione, raccontava la sua disastrosa fuga dal materno Friuli, nel 1950, a causa di un processo per atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minori. Sarà assolto. Troppo tardi. Ormai aveva perso il lavoro (insegnante, come Sciascia) e si era dovuto trasferire a Roma. Naldini era convinto che Sciascia avesse il dattiloscritto completo di quest'opera così interessante. Glielo aveva spedito, naturalmente, Pasolini stesso affinché venisse pubblicato a puntate su Galleria. Era il 1952. Sciascia declinò e optò per un racconto autonomo, Primavera sul Po. Purtroppo non conosciamo la risposta di Sciascia a Naldini ma ritrovare i capitoli mancanti di Il disprezzo della provincia, ammesso che siano mai esistiti, sarebbe ritrovare una pepita d'oro.
Torniamo alla mostra. L'amicizia tra Sciascia e Pasolini nasce all'inizio degli anni Cinquanta, a Roma. Nelle vetrine alla Fondazione possiamo vedere la lettera con la quale Pasolini annuncia di aver quasi pronta la recensione a Favole della dittatura, l'esordio di Sciascia nel 1950. Nel 1952, anno di intensi contatti, Sciascia pubblica Il fiore della poesia romanesca, una antologia con prefazione di Pier Paolo Pasolini. Negli anni Cinquanta la corrispondenza è assidua. Poi gli incontri e le lettere si diradano. Sciascia scrive un articolo alla morte di Pasolini: «La nostra corrispondenza si diradò, i nostri incontri divennero casuali (...) ma io mi sentivo sempre un suo amico; e credo anche lui nei miei riguardi. C'era però un'ombra tra noi, ed era l'ombra di un malinteso. Credo mi ritenesse alquanto - come dire? - razzista nei riguardi dell'omosessualità. E forse era vero, e forse è vero; ma non al punto da non stare dalla parte di Gide contro Claudel, dalla parte di Pier Paolo Pasolini contro gli ipocriti, i corrotti e i cretini che gliene facevano accusa». In mostra, troviamo anche il dattiloscritto de L'affaire Moro (1978). Comincia così: «Ieri sera, uscendo per una passeggiata, ho visto nella crepa di un muro una lucciola». In un celebre articolo, Pasolini aveva visto, nella scomparsa delle lucciole, la fine della millenaria società tradizionale. Ora Sciascia ci dice che le lucciole, sia pure solitarie, ancora esistono ed esiste ancora la verità, almeno come testimonianza personale. Il prezzo da pagare è la morte, come Pasolini, o l'isolamento, come Sciascia.

Abbiamo capito la lezione? Non si direbbe.

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