C'è solo una cosa peggiore degli intellettuali: gli intellettuali disonesti. Ipocriti, conformisti, mitomani, moralmente doppiopesisti e politicamente ruffiani. Quelli che predicano male e razzolano peggio, fingendo di essere ciò che non sono e di insegnare ciò in cui non credono. Che incantano gli altri, illudendo prima di tutto se stessi. «Che vorrebbero guidare le masse e influenzare i politici, ma non sanno guidare né rieducare se stessi né i partiti di riferimento».
Sono gli Intellettuali del piffero (Marsilio) ai quali Luca Mastrantonio - (ex?) dalemiano, già Riformista, oggi «terzista» scalpitante del Corriere della sera - dedica un micidiale pamphlet che mette al muro, inchiodandoli con le loro stesse dichiarazioni contraddittorie e interessate, grazie a un meticoloso lavoro d'archivio, i protagonisti del culturame italico in questo eterno ventennio (anti)berlusconiano. Vecchie trombette (Eco, Camilleri, la Spinelli, Flores d'Arcais...) e giovani tromboni (Saviano, Lagioia, Christian Raimo, i TQ...) che partirono per suonare e furono suonati. Suonati e disinnescati da questo fragoroso manuale che vuole rompere l'incantesimo dei «professionisti dell'impegno», svelandone trucchi e meschinità, così che non facciano più danni. Gli scrittori di successo, che gozzovigliano in quel mercato e su quei media che a parole disprezzano. Gli apocalittici nei toni, ma ben integrati nella società dello spettacolo. Gli «oracoli di cartavetro come Travaglio e Saviano». Le compagne di lotta femministe, libertine con se stesse, pudiche se c'è da attaccare il Drago.
Mostri, arlecchini e saltimbanchi, come quelli che firmano appelli se c'è da mettere il nome nella scaletta del varietà mediatico o difendere un assassino, ma di sinistra, come Cesare Battisti (Vauro, Balestrini, Scarpa...), quelli che mettono sotto processo Nori perché scrive per Libero (Cortellessa), o Berardinelli sul Foglio (Fofi), o Cubeddu sul Giornale... Quelli «che vogliono scrivere come Pasolini, su certi giornali, pur non scrivendo come Pasolini».
Quelli alla disperata ricerca di un palcoscenico, disposti a recitare qualsiasi parte, e suonare qualsiasi piffero, pur di raccogliere l'applauso del pubblico non pagante, e ci viene in mente - è successo l'altroieri - Piergiorgio Odifreddi, ateo di ferro, che si scioglie quando un (finto) Papa lo chiama al telefono: «Santità, mi alzo in piedi... Sarò anch'io a Messa con Lei... Vuol scrivere l'introduzione al mio libro?». Zanzare. Da schiacciare.
Scritto con il preciso intento morale di fare del male a chi ci ha fatto del male - e urlare in faccia ai pifferai che hanno finito di incantarci, perché non gli riconosciamo più alcun potere su di noi (che è il parricidio intellettuale perfetto) - il libro di Mastrantonio è il conto, salato, che la sua generazione post-ideologica presenta, a futura vergogna, a quanti, prima, ci hanno detto di voler derattizzare la società, liberandola dal Male e dall'Ignoranza, e poi - maghi che si sono messi in testa di diventare sovrani - ci hanno incantati con la loro sedicente superiorità morale. Eccoli. I «dementi storiografici» (gli Asor Rosa, gli Eco, i Camilleri, propagandisti dell'idea delirante che il berlusconismo è peggio del fascismo!). I «patrioti merdaioli» (i Luttazzi, i Tabucchi che inveiscono contro questo Paese «di merda», o meglio contro quella parte che non amano del Paese, «per scioccare i benpensanti o perché, semplicemente, sono ancora in una fase che i freudiani definiscono anale»). Gli «escapisti elettorali» (i Consolo, i Tabucchi, gli Eco, i Battiato, i Saviano e tutti quelli che minacciano di andarsene dall'Italia se vince il loro avversario politico, cioè Berlusconi, e poi restano sempre qui, anche se Berlusconi vince, «e curiosamente le mete scelte, a rendere ancora paradossale il tutto, sono Francia e Spagna, Paesi vicini ma che, a dispetto di chi a sinistra li elegge come patrie ideali, tornano spesso in mano alle destre, è come se questi intellettuali volessero tornare a venire colonizzati», Franza o Spagna purché se magna). I «cleptomani editoriali» (gli Augias, le Mazzucco, i Luttazzi, i Galimberti, e noi ci mettiamo pure i ladri di tweet, le Littizzetto e i Crozza, che urlano al ladro di dimettersi, se il ladro è Berlusconi, ma loro anche se rubano battute restano in tv). Le «ninfomoraliste ipocrite» (le Ravera, le Melisse Panarello e quelle che «predicano da pulpiti decisamente poco casti», «se non fosse che il bigottismo spesso è strumentale»).
E gli «schizofrenici cognitivi», come i Camilleri «a favore del ponte di Messina quando c'è Prodi, contro quando c'è Berlusconi», o come Gianni Vattimo «che pur di attaccare Israele dà legittimità culturale ai Protocolli dei Savi di Sion», o come tutti quelli che pubblicamente sono impegnati contro Berlusconi e in privato raccattano soldi e fama grazie alla sua industria culturale, scrivendo per le sue case editrici e lavorando con le sue tv. Quelli che trovano però sempre il modo di scagionarsi, «perché mi trovo bene con gli editor» (Scalfari, Augias...) o perché «solo da dentro trasformi il sistema» (i Wu Ming, i Carlotto), o perché «stare dentro una contraddizione dà il senso di responsabilità» (Piccolo)... Tanti, ma non tutti. Qualcuno se ne andò da Mondadori appena il Cavaliere scese in politica, come Silvia Ballestra.
Che per il 2014 ha annunciato il ritorno a Segrate, col romanzo Vera...Veri maiali orwelliani, come Napoleone, Palla di neve e... Piffero. Quelli che «tutti gli esseri umani sono uguali fra loro», ma gli intellettuali sono più uguali degli altri.
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