Più volte finalista al Campiello Giovani, vincitore 2012 nel Lazio, Giorgio Ghiotti pubblica il primo libro mentre frequenta il classico Manara a Roma: Dio giocava a pallone (Nottetempo, pagg. 166, euro 12,50). Sette racconti concentrati su baci e sogni e angosce della sua generazione, primo titolo della nuova collana narrativa.it.
Diciannove anni: pochi per scrivere un libro.
«Mi piace pensare che la scrittura, come la letteratura, non sia un fatto anagrafico. A me, da lettore, non interessa l'età dello scrittore, ma che il libro a fine lettura mi vada stretto. I libri che ti vanno stretti, quelli che portano con sé una certa dose di fastidio postumo sono i migliori».
Com'è arrivato alla pubblicazione?
«Scrivo da quando mia nonna, maestra d'italiano, mi forniva carta, penna e tre personaggi, dicendomi: Scrivi una storia, che io rifaccio i letti. Dopo il Campiello Giovani 2011, ho iniziato a scrivere i racconti di Dio giocava a pallone. Intanto leggevo i libri nottetempo e mi piacevano molto. Così ho inviato il manoscritto per posta all'indirizzo indicato sul sito. Un mese dopo mi ha chiamato Chiara Valerio: aveva intenzione di pubblicarmi. Stavo guidando il motorino e ho sfiorato l'incidente».
Da dove trae spunto per i racconti?
«Dai miei coetanei, ognuno con la sua ossessione e la sua speranza, ferite segrete e desideri».
Perché racconta spesso amori impossibili o difficili?
«Perché l'amore è una delle possibili conseguenze delle relazioni e le relazioni non sono mai semplici. L'amore a vent'anni è qualcosa di complicatissimo. Significativo l'esempio di una coppia di miei amici: lei un giorno dice a lui Ti amo, lui non risponde. Passa un anno e mezzo. Ti devo dire una cosa, le fa, ora ti amo anch'io. Gli adulti non si dicono quasi mai Ti amo, e se lo dicono è per abitudine. I ragazzi, invece, pesano le parole».
Ha una definizione della sua generazione?
«Hanno consapevolezza delle difficoltà quotidiane, ma credono che le opportunità si creino con le passioni, le intelligenze, i sogni. Sempre un po' oscurati dall'ombra del dubbio. Tra i valori, la voglia di mettersi in gioco, di non pensare per luoghi comuni. Il difetto peggiore: credere di avere davanti tutto il tempo possibile».
Nei suoi racconti, gli adulti rimangono sullo sfondo.
«Per poter parlare di adolescenze allo stato puro, non contaminate dal mondo degli adulti che limita e limitando moltiplica i danni. C'è però un personaggio di Il nostro secolo breve, la signora Pelago, che è un adulto particolarissimo: conserva la dimensione del sogno e per questo soffre molto».
Quanti libri legge in un anno?
«Diciamo una novantina».
Ha un autore che ama sopra a tutti?
«Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Paolo Cognetti e la Parrella dei racconti. E Italo Calvino. C'è una scena del Barone rampante che mi emoziona sempre: il brigante Gian dei Brughi, condannato all'impiccagione, non teme la morte, ma di non riuscire a finire Clarissa, il libro donatogli da Cosimo».
Sta scrivendo?
«La tesi di maturità. Sull'anta dell'armadio poi ho una trentina di post-it colorati: appunti per una storia. Inizierò a lavorarci quest'estate dopo gli esami, prendendomi tutto il tempo possibile».