«Anche un romanzo può battere la crisi»

«Anche un romanzo può battere la crisi»

E decidiamo di fare un’intervista allo scrittore-imprenditore-assessore Edoardo Nesi usando le parole del nuovo libro di Nesi. Perché Le nostre vite senza ieri (Bompiani, pagg. 160, euro 16) parla di globalizzazione, Italia, futuro, crisi, Cina, Frank Capra e Google, riprendendo l’eclettica formula romanzo-memoir-pamphlet già collaudato con il romanzo premio Strega 2011 Storia della mia gente: «Nemmeno io riesco a definirlo come genere. Può darsi che sia questa la ragione per cui questi libri piacciono: non sai mai che cosa stai leggendo. D’altronde il mondo là fuori è così complicato che raccontarlo con i vecchi strumenti è difficile: è necessaria una contaminazione». Sicché le provocazioni da citare per un’intervista non mancano di certo.
«È una vita senza ieri quella che ci apprestiamo ad affrontare nel XXI secolo, ma poteva andarci peggio».
«Perché vorrei, con questo libro, reagire alla cappa nera di pessimismo che sta su tutta l’Italia».
«E state seduti composti sulla sedia. Così, guardate. Come sto io ora. Non vi appoggiate allo schienale, non sedetevi sull’orlo. State dritti. Così. Guardate negli occhi chi potrebbe darvi un lavoro. Sorridete. Avrete più possibilità di farcela».
«Mi sono trovato a parlare a giovani che hanno smesso di studiare. Età dai 17 ai 25 anni. E ho capito che bisogna riscoprire l’attenzione al modo in cui si parla e a come ci si presenta. L’idea che sia importante la nostra “interiorità” - lo scriva tra virgolette - non trova nessuna corrispondenza nella realtà».
«Sono venuti da me e mi hanno chiesto se la Grecia - “La Grecia di Pericle, babbo” - fallirà... Le scuole rimangono aperte, se fallisce l’Italia?».
«A Prato è stata creata in questi anni una delle più belle biblioteche d’Italia, dove vanno un sacco di ragazzi. Ci vedo un grande segno di speranza. Forse ci vanno solo per fare i compiti, ma sono vicini ai libri del passato. E c’è la speranza che finito di studiare qualcuno si avvicini a Melville o a Pirandello o a Socrate. Credo che la cultura sia una delle scelte più intelligenti per fare i soldi. Questo non è più un mondo che privilegia il lavoro nella sua componente più asinina e indefessa. Premia intuizioni e conoscenza».
«Perché bisogna in tutti i modi allontanare dal nostro destino l’incubo di finire nel mondo di Giovanni Battista Piranesi».
«Piranesi illustra un mondo in cui si è perso il contatto con la grandezza dei padri e si rimane accanto alle rovine senza raggiungere più niente. Tranne alcuni esempi virtuosi, quali sono rimaste le aziende italiane di grandi dimensioni in cui si produce qualcosa di unico, che non possa essere prodotto in altri Paesi?».
«Guardano al mondo con distacco cattedratico, i Professori... Usano il telescopio, non il cannocchiale, e così non vedono le persone».
«Portatori di una conoscenza. Onesti, savi, benintenzionati. Ma quando la tua lezione viene da trent’anni prima e consiste nell’analizzare il mondo come un’arena immensa, perdi di vista il fatto che l’Italia non è un Paese come gli altri e non può usare lo stesso modo degli altri per uscire da questa crisi».
«Il mercato è una brutta bestia solo per chi non lo conosce. In realtà, agisce in base a regole elementari e prevedibili».
«Le aziende, piccole o grandi che siano, sono orientate all’utile. Il grande segreto è questo e solo questo. Non c’è volontà di conquista del mondo. Non c’è cattiveria nella voglia di licenziare. Ma un tentativo di garantirsi la sopravvivenza. Quando Berlusconi diceva che dovrebbe essere consentito tutto ciò che non è proibito, rendeva il senso di ciò l’impresa fa: non ha una funzione sociale».
«La crescita! Se solo smettessero di invocarla a vanvera ogni giorno, La crescita è un germogliare, uno svilupparsi faticosissimo...».
«Quando il nostro presidente del Consiglio dice al suo omologo scandinavo che con il rigore si otterrà la crescita, io mi dispero. Perché il rigore è esattamente l’ambiente psicologico nel quale la crescita non nasce. Un pazzo che irrazionalmente si convince che il suo futuro sta in un’azienda per far nascere la quale deve indebitarsi e ci scommette tutta la sua vita: la crescita nasce da decine di migliaia di persone così. Libere di immaginare».
«Li incolpiamo di non avere né fame né voglia né desideri perché hanno già tutto, quando invece non è vero. I nostri figli non hanno tutto».
«Sembra che i nostri figli siano i più ricchi del pianeta e invece non gli abbiamo dato un’idea di futuro. Mio padre mi diceva: “Se ti impegni e lavori e sei bravo ce la farai”. E dopo un po’ si aveva una casa. Da giovane andavo in America perché l’amavo: qui però funzionava tutto in maniera straordinaria. Ma oggi, i giovani dovrebbero restare, perché potremmo anche essere pronti per un rimbalzo».
«Incredibilmente, non è mai stato concepito un piano B».
«Siamo entrati in Europa in modo dilettantesco. Gli altri paesi ne hanno beneficiato, noi no. Quando si entra in affari un piano B ci vuole.

A un amico che ha un’azienda tessile i cinesi hanno rifiutato i tessuti perché hanno il ph troppo acido. Da urlo, con tutta la roba colorata e cancerogena che hanno. Ma la cosa incredibile è che li aveva comprati dalla Cina, lui. Te li vendono, ma poi indietro non li ripigliano mica».

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