Cultura e Spettacoli

Ansaldo, il buon direttore si vede dal "Mattino"

In Stile piemontese i ritratti di Giolitti ed Einaudi scritti da un grande giornalista Che nel dopoguerra portò ai vertici il quotidiano di Napoli. Senza ossequiare la Dc

Ansaldo, il buon direttore si vede dal "Mattino"

Stile piemontese (Aragno editore, pagg. 113, euro 12) è un libretto delizioso, costruito da Giusepppe Marcenaro intorno ad alcuni testi di Giovanni Ansaldo su Giovanni Giolitti e Luigi Einaudi, emblemi di quella «Provincia Granda», di quello «stile sabaudo» che fra secondo Ottocento e prima metà del Novecento cercò di insegnare la prosa a una nazione più incline alla poesia e, soprattutto, alla retorica. Marcenaro li introduce con un saggio esemplare, dove le traiettorie umane e politiche dei due statisti piemontesi si intrecciano a quelle umane e professionali del giornalista ligure. Ciò che ne emerge è il ritratto di una certa Italia post-risorgimentale, colta e minoritaria, patriottica e realista, a suo modo romantica, un «mondo di ieri» che sembra un altro mondo... Se Giolitti anagraficamente può esserne la spiegazione, vale la pena ricordare che Einaudi fu nostro presidente della Repubblica ancora negli anni Cinquanta del secolo scorso e che Ansaldo, quando morì, nel 1969, aveva settantaquattro anni. La loro è storia di ieri, insomma, non di secoli fa.

Stile piemontese è frutto della spremitura del miglior Ansaldo, la cui vita fu un concentrato di quella nostra novecentesca, meritevole quindi di un approfondimento rispetto ai due illustri biografati. Nel 1946, quando rientrò dalla prigionia nei lager tedeschi, Ansaldo era uno sconfitto su tutta la linea. Antifascista di grido sino a dopo il delitto Matteotti, incarcerato e mandato al confino, era stato negli anni Trenta il giornalista di punta del fascismo, direttore del Telegrafo, consigliere e protetto di Galeazzo Ciano, commentatore radiofonico dei fatti bellici del regime sino al 25 luglio... Aveva insomma conosciuto le due facce della medaglia italiana da protagonista e se l'insipienza, l'incapacità e la pochezza degli avversari di Mussolini lo avevano alla fine convinto della razionalità hegeliana del suo successo, le velleità, le inadempienze, gli errori di giudizio di quest'ultimo lo avevano disilluso sulla reale capacità «rivoluzionaria» della sua creazione. All'età di cinquant'anni, Ansaldo si ritrovò a essere un uomo del passato, al quale il presente aveva poco o nulla da dire e il futuro poco o nulla da offrire.

Nel 1950, dopo quattro anni di collaborazioni sparse, di pseudonimi un po' orgogliosamente cercati e un po' vergognosamente subiti, ad Ansaldo venne proposto di prendere la direzione del Mattino, l'antica testata di Scarfoglio riportata in vita da un accordo fra il Banco di Napoli e la Democrazia cristiana. Per accettare, il futuro direttore volle che fosse messa per iscritto la seguente condizione: «È chiaro che non sarei per nulla disposto ad accettare istruzioni, indirizzi, pressioni o come con qualunque altro eufemismo si vogliono chiamare gli ordini da parte degli organi governativi o della Democrazia cristiana stessa. Chi mi chiama alla direzione di un giornale deve fidarsi di me, non può lusingarsi di avermi pronto, con la penna in mano, ad ogni telefonata. V'è poi da tener presente il mio passato politico. Qualunque sia il giudizio che altri se ne dà, è certo che per questo passato mio, io debbo avere, ed ho, il massimo rispetto. Libero da ogni vincolo coi movimenti genericamente denominati neofascisti, libero altresì da ogni forma di quella che si può definire “nostalgia” io non posso però, senza avvilirmi, rinnegare uomini e principi che un tempo ho servito: e debbo anche evitare l'apparenza di questo rinnegamento. Di conseguenza anche è chiaro che se mi fosse data la direzione del giornale, il giornale stesso dovrebbe essere precluso ad ironie ed invettive contro quegli uomini e quei principi. Nessuna apologia, certo, neppure larvata; ma, del pari, nessun vilipendio retrospettivo. Del cosiddetto regime e delle sue responsabilità storiche, parlerò, se del caso, criticamente io». Non so quanti direttori odierni, pur nella ovvia diversità di tempi storici e di private biografie, saprebbero scrivere, e vorrebbero scrivere, una lettera all'editore simile a questa...

Del Mattino Ansaldo sarà direttore per quindici anni, fino al 1965. Prenderà casa a Napoli e farà di quel giornale uno dei più importanti quotidiani italiani. Lo dirigerà con intelligenza e con passione. Dopo aver sognato di rifare l'Italia, adesso si accontenterà di molto meno. Per convincerlo ad accettare, un vecchio amico gli aveva scritto: «Lei ha la possibilità straordinaria di entusiasmarsi per cose che non ne valgono la pena».

Per l'antifascista riluttante, per il fascista critico, per il conservatore deluso, per il pessimista Ansaldo, fu il modo migliore di riconciliarsi con se stesso.

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