Bellissima e tragica La fiaba di Moresco assomiglia alla vita

Un uomo in un luogo disabitato e selvaggio resta incantato di fronte all'esistenza in tutte le sue manifestazioni. Fino a uno sconvolgente incontro

Bellissima e tragica La fiaba di Moresco assomiglia alla vita

Notizia shock: Moresco è tornato. Inaspettatamente. Lo sapevamo rintanato nel suo rifugio segreto che neppure gli amici più stretti conoscono. Si mormora sia in Francia, qualcun altro sostiene in Toscana, magari si annida a Roma sotto casa mia, nella vegetazione di Villa Ada, ma ha poca importanza. Piuttosto conta che è lì a scrivere un ultimo romanzo già annunciato come postumo e intitolato Gli increati.

E proprio dalla «massa ancora in fusione» de Gli increati è scaturito La lucina, il breve romanzo appena pubblicato da Mondadori: la magica storia di un uomo rintanato in un posto selvaggio e deserto, un borgo disabitato in mezzo alle montagne, e dell'incontro ravvicinato del terzo tipo con se stesso sotto forma di bambino morto. Ma soprattutto è un Cantico delle creature rivisto e corretto dall'occhio di Galileo e dalla coscienza tragica di Leopardi, una preghiera senza religione ma piena di religiosità umana, un grido sussurrato di stupefazione incantata davanti all'universo, un inno a ogni forma biologica che lotta per la propria sopravvivenza. È un San Francesco che ha letto Darwin.

È l'unico, Moresco, che riesce a parlare alle vespe, ai lombrichi, ai sassi, alle spore, perfino agli alberi, ai rampicanti, senza sembrare un deficiente. Anzi, trascinandovi in un'esperienza meravigliosa, facendovi pensare con la potenza della sua visionarietà analitica. C'è un castagno mezzo vivo e mezzo morto, un grosso tronco senza vita da cui però si protende un ramoscello verde, e Moresco ve lo racconta mostrandovi «il fiume della linfa che corre turbinoso sotto la corteccia, rasentando la parte morta e poi gettandosi in quel nuovo ramo che si protende verso lo spazio, inventato dalla sua stessa pressione». Per cui viene naturale chiedere all'albero come si fa a vivere così, mezzi vivi e mezzi morti, perché «agli uomini non è possibile: o sono vivi o sono morti».

Questo piccolo libro incantato è un moderno De Rerum Natura di biologia lirica: ci sono perfino gli «uccelli che fanno scricchiolare il vento». Oppure le rondini, «quei piccoli cervelli di pochi grammi che attraversano lo spazio come frecce, in tutto quel brulicare di ali che scompigliano l'atmosfera». Oppure i pipistrelli, con le loro ali di pelle, «che ti arrivano in faccia come stracci». Fino a sfondare il cielo e toccare con il pensiero le stelle, il cosmo, la misera condizione umana nell'universo sconfinato: «Alfa Centauri, la stella più vicina al nostro sole, si trova a una distanza di quattro anni luce. La Grande Nube di Magellano, la galassia più vicina alla nostra galassia, si trova a centosessantacinquemila anni luce dal nostro sistema solare. E io qui, seduto su questa seggiola di ferro che sprofonda sempre più nel terreno, in questo posto fuori dal mondo, a una simile distanza da tutto e dallo spazio e dal tempo e dalla mia vita e dalla mia morte».

Moresco non è solo uno dei più grandi scrittori italiani, è anche l'ultimo poeta, riesce a impastare ogni sua frase della magia della favola senza cedere al favolismo. Ha lo sguardo di un bambino rassegnato che non si rassegna. È per questo che io ho smesso di polemizzare con la sua inclinazione metafisica, dal mio punto di vista alla fine consolatoria, per cui mentre gli altri letterati danno del nichilista a lui, lui l'ha dato a me (insieme agli altri letterati), bella storia. Io mettevo mano alla pistola quando Moresco citava la scienza come fanno i religiosi, magari tirando fuori «l'energia oscura» dell'universo come se poi dovesse esserci dentro chissà cosa di bello. Ho cominciato a perdonargli tutto quando ho capito che Moresco è questa poesia assoluta. L'energia oscura è la stessa scrittura di cui sono fatti i suoi libri: se fossimo nel Cinquecento e Moresco fosse uno scultore sarebbe Michelangelo, e non è che ti metti a discutere del DNA con Michelangelo, artisticamente lo ammiri e basta.

Infine immagino che qualche critico italiano dirà che questo è il suo miglior libro, tanto per fargli dispetto.

Invece è davvero il miglior libro di Moresco, ma insieme a tutti gli altri libri di Moresco, dalla supernova di Canti del caos a questa dolcissima, tenera, straziante lucina, perché alla fine «c'è solo, da ogni parte, questo disperato pullulare di vita e morte attraverso il tempo, lo spazio, questo disperato fantasticare…».

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