Cultura e Spettacoli

Il "capitalismo della sorveglianza"

Shoshana Zuboff ne "Il capitalismo della sorveglianza" scrive di come i grandi potentati tecnologici estraggano valore dagli esseri umani nella loro quotidianità

Il big tech e il dominio sui dati: così nasce il "capitalismo della sorveglianza"

Dalla risposta ai vecchi bisogni alla creazione di nuove necessità, per arrivare alla volontà di espandere l'esperienza umana nel "metaverso" (definizione di Mark Zuckerberg) o in quella realtà che per molti teorici della rivoluzione digitale è l'onlife. I big tech, principalmente di matrice statunitense, hanno profondamente cambiato il mondo in cui viviamo. Ma nel corso degli ultimi anni la coniugazione tra nuove tecnologie digitali, metodi di estrazione e sfruttamento dei big data, meccanismi di intelligenza artificiale e diffusione di una base ampia di profilazione di utenti ha portato a un'accelerazione del loro potere di mercato.

Il sociologo Luciano Gallino a fine XX secolo parlò di "finanzcapitalismo" per definire l'alleanza tra i grandi potentati finanziari e le industrie più importanti; diversi autori, come il saggista Nick Srniceck, hanno definito "capitalismo delle piattaforme" il sodalizio tra questa alleanza e le grandi tecnologie considerando la frontiera della produzione della ricchezza delle aziende il cui business è dato dalle informazioni che ogni utente lascia dietro di sé nelle sue navigazioni in Rete.

La fase sviluppatasi negli ultimi anni è stata invece quella del capitalismo della sorveglianza, teorizzato e descritto nell'omonimo saggio di Shoshana Zuboff. La Zuboff è una professoressa americana, a lungo docente alla Harvard Business School, che ha dedicato gli ultimi decenni a studiare la forma contemporanea di capitalismo, che si nutre, convive e modifica le altre.

Esso è un capitalismo dell'estrazione, non della creazione di valore. Karl Marx e Henry Ford si troverebbero parimenti d'accordo, secondo le tesi della Zuboff, nel definire il capitalismo delle grandi piattaforme digitali come una distorsione sia di ogni strategia volta a promuovere il lavoro sia di ogni scenario di sviluppo della produzione sul lungo periodo.

La Zuboff, pensando soprattutto a colossi come Google e Facebook, sottolinea che oggigiorno "l'esperienza umana è ormai materia prima gratuita che viene trasformata in dati comportamentali" destinati alla profilazione degli utenti "e poi venduta come prodotti di previsione’ in un nuovo mercato", quello dei "dati comportamentali a termine, [...] dove operano imprese desiderose solo di conoscere il nostro comportamento futuro”. A questo si assocerebbe, come filosofia-guida, una "logica economica parassita nella quale la produzione delle merci e dei servizi è subordinata a una nuova architettura globale della trasformazione comportamentale degli individui e delle masse". Il contesto di riferimento è quello in cui le forze del capitalismo tecnologico basate, principalmente, nella Silicon Valley, sono diventate padrone delle coscienze collettive dei consumatori, artefici di un populismo digitale libertario, capace di associare al mito della frontiera le superpotenze del big tech e trionfante sul piano comunicativo per giustificare la loro rendita di posizione.

Etica e Economia ha detto che dalla Zuboff emerge la sensazione che "il capitalismo della sorveglianza vada, dunque, combattuto non soltanto per ragioni antiche (è monopolistico, viola la privacy) ma anche, e soprattutto, perché riduce a merce i comportamenti umani e attraverso il loro commercio consente arricchimenti straordinari. Un capitalismo che non si accontenta di automatizzare i flussi di informazioni su di noi, ma mira a automatizzare noi stessi".

L'alleanza tra la Silicon Valley e Wall Street si tinge di "verde", di sociale, di dirittista mentre, al contempo, prosegue la sua marcia nell'estrazione di valore dai dati dei cittadini e ora, con la nuova frontiera del "metaverso", punta ad abbattere ogni schermo tra virtuale e reale. Portando sicuramente un indubbio potenziale attrattivo in termini di opportunità lavorative e scenari economici, ma anche un fondamentale campo di sviluppo per la logica delle piattaforme digitali.

I recenti scandali che hanno riguardato Facebook spiegano molto delle "regole d'ingaggio" di questo nuovo sistema. Il fatto che gli algoritmi di Facebook seguano la logica secondo cui "l'indignazione attira l’attenzione", i post divisivi favoriscano un crescente engagement e di conseguenza una maggiore esposizione degli utenti attraverso i loro dati è stato ritenuto un viatico dell'aumento dell'influenza del social network a livello collettivo. Come ricorda Piccole Note, infatti, "gli odiosi haters e i fastidiosi troll, solo per fare un esempio, che creano dipendenza e generano rabbia nella realtà, sono un fenomeno endemico di tutti i social. Un fenomeno al quale non è mai stata prestata l’attenzione del caso (anzi spesso è trattato con malcelata simpatia), mentre è parte di un circuito perverso che serve ad alimentare il sistema" descritto dalla Zuboff.

Portavoci di uno sviluppo, a parole, più sostenibile le aziende descritte dalla Zuboff promettono di contenere il capitalismo scatenandolo in forme ancora più selvagge. In una logica che vede perdente, in primis, l'economia di mercato, piegata a logiche esterne. Secondo la Zuboff "il capitalismo della sorveglianza rischia di porre alla natura umana le stesse minacce che il capitalismo industriale ha posto all'ambiente nel XX secolo". Creando il parallelo occidentale della potenziale distopia digitale oggi in via di costruzione nella Repubblica Popolare Cinese, con il suo mix di algoritmi di sorveglianza e crediti sociali. A cui bisogna rispondere mettendo in campo la potenza che offre la tutela del fattore umano e comunitario evitando che lo sfruttamento dei dati si trasformi in sfruttamento delle persone, asservite a una "mega-macchina" estrattiva.

In sostanza, si tratta di salvare il capitalismo dalle oligarchie che lo stanno, anno dopo anno, irrigidendo.

Il capitalismo della sorveglianza

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