Cultura e Spettacoli

Il Bolaño mai sentito. Cinico coi grandi tenero con le madri

Contro Neruda e gli "ipocriti" Paz e Fuentes ma dalla parte delle donne di Plaza de Mayo. Ecco cosa diceva il romanziere su vita e libri

Il Bolaño mai sentito. Cinico coi grandi tenero con le madri

Roberto Bolaño, cinquant'anni esatti di vita randagia e dieci altrettanto esatti di celebrazioni post mortem, è uno scrittore culto, del quale tutto si ripubblica (in Italia, dopo Sellerio, sta completando l'opera Adelphi), tanto si legge, tantissimo si parla, ogni cosa si recupera. Alcune meno belle, altre stupende, come le interviste che lo scrittore cileno rilasciò, soprattutto negli ultimi anni, dal 1998 al 2003, parlando di sé, dei suoi libri, di letteratura, della malattia, della morte, e raccolte nel libro Bolaño por sí mismo, uscito in Cile due anni fa.

E che ora arriva in Italia col titolo La prossima battaglia. Interviste con Roberto Bolaño da Medusa. Un'operazione editoriale da alcuni punti di vista ottima (l'idea di pubblicare il libro così come l'introduzione e la traduzione dell'ispanista Gabriele Morelli), da altri riuscita a metà: solo sette delle dieci interviste originali sono state selezionate per l'edizione italiana, causa comprensibili ragioni di spazio, e purtroppo fra queste sono saltate quelle con passaggi particolarmente interessanti (e casualmente anche più scomodi) per capire chi davvero fosse e cosa davvero pensasse Bolaño. Per fortuna, grazie a Gabriele Morelli, il curatore dell'edizione italiana, che le aveva tradotte tutte, possiamo pubblicarle sul Giornale, in questa pagina, a futura memoria. Ad esempio, e soprattutto, quando Bolaño, a proposito del suo «impegno» politico, risponde che ha sempre desiderato essere uno scrittore politicamente schierato, «ovviamente a sinistra, ma gli scrittori di sinistra mi sembravano degli infami ... Pezzi di merda sparsi dal destino per provare, suppongo, la nostra tempra, perché se potevamo sopravvivere ai loro libri sicuramente potevamo sopportare di tutto...».

Il Novecento, secondo l'autore de I detective selvaggi, fu prodigo di scrittori di sinistra «che, più che cattivi scrittori, furono perversi». Parole pesanti, che non leggeremo.
Leggeremo, però, tutto il resto, che comunque è ottimo. C'è da divertirsi, per esempio, a rintracciare qua e là nel libro i giudizi e le critiche sui suoi colleghi scrittori: Bolaño accusa la vecchia «scuola» sudamericana di tradizionalismo e provincialismo, fa a pezzi i libri di memorie che considera retorici ed enfatici, a partire dal celebre Confesso che ho vissuto di Pablo Neruda («Nessuno, neppure il torturatore più sciocco, cercherà di far confessare a qualcuno di aver vissuto»), storce il naso davanti ai nomi di successo della narrativa cilena contemporanea, come Luis Sepúlveda e Isabel Allende, avanza pesanti perplessità su quegli scrittori, come Octavio Paz e Carlos Fuentes, e lo stesso Neruda, che hanno vissuto criticando il capitalismo ma condividendone onori, benessere e potere (e quanti ce ne sono stati, e ce ne sono, anche in Italia?, ci domandiamo noi).

Pochi dubbi, invece, sui maestri: Jorge Luis Borges, prima di tutto, poi Julio Cortázar (Componibile 62 è uno dei migliori romanzi di sempre in lingua spagnola), e infine il poeta Nicanor Parra, il suo preferito (è ancora vivo, ha 99 anni...), dotato, secondo lui, di un eccezionale senso dell'umorismo, «e per di più del miglior umorismo del mondo, che è l'umorismo nero».

Altre cose che si vengono a scoprire da queste entrevistas escogidas sono che Bolaño era orgogliosissimo della sua collezione di wargames da tavolo (e chi ha letto Il terzo Reich lo può immaginare...), che le persone che più ammirava erano le madri di Plaza de Mayo, ma che se avesse potuto scegliere un personaggio di finzione in cui incarnarsi, avrebbe chiesto di essere Bugs Bunny, o Speedy Gonzales. Che la felicità perfetta, per fortuna, non esiste («la sua ricerca genera immobilismo o i campi di concentramento»), ma esiste una felicità imperfetta, che nel suo caso consisteva nello «stare con mio figlio, e sapere che lui sta bene», che è una di quelle risposte che quando le leggi ti vengono i brividi, soprattutto se sei un padre. Che «l'unico dovere degli scrittori è scrivere bene e, se possibile, più che bene; aspirare a raggiungere l'eccellenza», che è una di quelle frasi che quando le leggi ti fanno passare la voglia di scrivere, soprattutto se sei uno che di mestiere scrive. Che, a proposito di politica, spesso coloro che si proclamano rivoluzionari (e lui, dal Cile al Salvador, ne conobbe molti) sono «autentici criminali». Che la sua malattia devastante non lo spaventò mai veramente, neppure all'ultimo (parla a lungo, con leggerezza, dei suoi funerali). E, infine - non si sa riferito a chi - che «quando si è amato qualcuno non si smette mai di amarlo».

Che vale per le donne, e anche per i veri scrittori.

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